Civiltà del Lavoro, n. 3/2020

86 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2020 Dai sigilli mesopotamici alle minuziose riproduzioni dei grandi capolavori della scultura romana o di particolari dei dipinti di Ra aello tanto ammirati dai viaggiatori del Grand Tour, la collezione di glittica della Fondazione “Dino ed Ernesta Santarelli” è uno scrigno circolare che invita a percorrere e ripercorrere la storia con occhi socchiusi, protesi a dettagli che nascondono meraviglie Busto di fanciullo (II-III sec. d.C) FONDAZIONI piuttosto che davanti a un cinema perché la sentivo più mia ma, ovviamente, mentre il cinema lo conoscevano tut- ti, sulla chiesa nascevano sempre problemi. C’era e c’è mol- to lavoro da fare”. ARTE MINUTA, VASTA ICONOGRAFIA Dal greco glýpho, incidere, la glittica è l’arte dell’incisione delle pietre dure, incisione che può essere a incavo o a ri- lievo per ottenere, rispettivamente, l’intaglio o il cammeo. A differenza della scultura, arte maestosa e celebrativa in cui personaggi e conquiste sono esposte sotto forma lapidea al popolo chiamato ad ammirarle, la glittica è arte minuta, in qualche modo libera da un’immediata funzione pubblica e per questo fonte di un corredo iconografico più vasto, strumento adatto a rappresentare anche la quotidianità di persone e non necessariamente di personaggi, idoneo a raccontare spazi privati di vita familiare, a descrivere carat- teri attraverso figure animali, a fissare passioni e ambizioni. Dai sigilli mesopotamici alle minuziose riproduzioni dei gran- di capolavori della scultura romana, degli affreschi riemersi a Ercolano e a Pompei o di particolari dei dipinti di Raffa- ello tanto ammirati dai viaggiatori del Grand Tour, la colle- zione è uno scrigno circolare che invita a percorrere e ri- percorrere, insieme alla grande storia, anche tante storie apparentemente periferiche. C’è per esempio la riproduzione del volto di un bambino di epoca romana. “Guardi – esclama Paola Santarelli – chissà quante volte quel ragazzino avrà giocato con quella che per lui era una bulla. Chi ha voluto ritrarlo in questa gemma è come se gli avesse scattato una foto per conservare quel- lo sguardo per l’eternità”. E aggiunge: “Anche nelle opere più piccole c’è tanta magia, così come anche nei frammen- ti di alcuni manufatti si può cogliere un senso di pienezza”. TRA SIGILLI MESOPOTAMICI E CAMMEI FEDERICIANI Entrare nella Wunderkammer, nelle sale che precedono il Medagliere Capitolino, è un po’ come viaggiare nel tempo a bordo di un disco volante, catapultati in un’esperienza im- mersiva si posa lo sguardo in senso circolare sui sigilli ci- lindrici della Mesopotamia, sugli scarabei egizi, su gemme egee ed etrusche, sulla glittica romana nelle sue due tra- dizioni, quella aulica con le opere firmate da celebri artisti come Dioskurìdes, e l’altra popolare dai temi iconografici i più vari: divinità, eroi, animali, giochi circensi, emblemi po- litici, evocazioni magiche. “In età imperiale – spiega Paola Santarelli – quando la so- cietà greco-romana, ormai cosmopolita, accolse con fer- vore la cultura religiosa dell’Egitto e del Vicino Oriente, alle gemme cominciò a essere riconosciuta anche una funzione magica”. A Roma le gemme, di norma inserite in anelli, furo- no anche utilizzate per ornare vasellame prezioso, mobilia, e perfino indumenti. Da un’iniziale sobrietà, la passione per gli anelli crebbe fino all’eccesso: le fonti ricordano la mo- da di indossarne anche quattordici contemporaneamente. Al Tardoantico segue la glittica normanna e federiciana, quella a cui Paola Santarelli confessa di essere più affezio- nata. “Questa riproduzione di Costanza d’Altavilla, la madre di Federico II, mi emoziona moltissimo e poi quell’aquila è semplicemente notevole”. Con Federico Ruggero di Hohenstaufen la glittica conosce in effetti una nuova fioritura. Grazie al collezionismo dell’imperatore gli artigiani della cor- te siciliana ebbero l’opportunità di ispirarsi ai cammei, agli

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