Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2020
21 Civiltà del Lavoro ottobre • novembre 2020 storia di successo e che rappresentano dei simboli dell’i- talianità, che ci sia una maggiore generosità e attenzione anche nei confronti del sistema di formazione pubblico e porsi seriamente il tema che noi non riusciremo a dare un futuro ai nostri figli e ai nostri nipoti se non saremo rigidi nel pretendere che gli investimenti vadano a favore del ca- pitale umano, cioè di coloro che verranno. Insieme alle infrastrutture immateriali e alla digitalizza- zione, di cui si parla giustamente moltissimo, la moder- nizzazione del Paese passa necessariamente per le infra- strutture materiali e le grandi opere. Dalla Tav alla Tap, negli ultimi anni l’Italia ha dovuto fare i conti con can- tieri fermi a causa di estremismi ideologici, ricorsi am- ministrativi, incapacità gestionale e fragilità decisionale. Vede un cambio di passo al riguardo? Oggi i nemici delle grandi opere non hanno più tanti argo- menti a loro favore e, per così dire, si stanno piegando. Più degli estremismi, su questo fronte mi preoccuperei della ca- pacità di spesa di una macchina burocratica che ha mostra- to tutta la sua fragilità. Tra Regioni, Comuni, enti territoriali vari, Autorità di gestione e così via il problema è l’execution. Siamo o meno in grado di realizzare opere? Il modello Ge- nova non si può adottare per ogni intervento. Nel piano “Italia Veloce” approvato lo scorso luglio ci sono tuttavia segnali incoraggianti, il ministro Paola De Miche- li ha mostrato attenzione, anche perché l’alternativa è che di questo passo si finiranno per fare opere pensate per il secolo scorso. L’approvazione del Next Generation Europe e, ancor più di recente, la disponibilità a rivedere la Convenzione di Dublino ha dato una nuova immagine dell’Europa. Oltre ai nemici delle grandi opere, si sono indeboliti anche i retori del sovranismo? La retorica sovranista poggia su difficoltà reali, sulle ingiu- stizie prodotte da una globalizzazione affrettata. Quando si teme per il proprio reddito, per la propria sicurezza, si tende a rinchiudersi nei propri confini. La perdita di identità minac- ciata dai grandi scenari globali è rimasta per lungo tempo inascoltata e basta guardare al dibattito americano per ca- pire che le armi dei nazionalisti sono tutt’altro che spuntate. Ricordo la risposta dell’Europa alla crisi del 2008, l’incapa- cità di dare risposte che non fossero meramente contabili ha avuto un ruolo determinante per la nascita di quelli che avremmo riconosciuto come sovranismi. Ore si è senz’al- tro cambiato rotta, ma c’è un ma. Quale “ma”? Anche per gli aiuti del Next Generation Eu vale il discorso dell’execution, le azioni dei singoli paesi vanno approvate da 27 parlamenti e tra qualche mese in alcuni paesi si an- drà a votare e potrebbero esserci sorprese. Torniamo in Italia e, in particolare, al Mezzogiorno. I fon- di del Recovery Fund sono vissuti anche in questo caso come un’ultima chiamata. Verrà raccolta? Parliamoci chiaro, le possibilità di ripresa del Paese sono le- gate alla capacità di investire nella sua parte meno sviluppa- ta. Ci sono 20 milioni di persone che vivono in un’area del Paese caratterizzata da gravi ritardi materiali e immateria- li e, nonostante le intenzioni di tutti i governi che finora si sono susseguiti, le divaricazioni sono cresciute. Il resto d’Italia ha pensato di potersi aggrappare alla loco- motiva europea ma, complice anche la pandemia, credo sia oggi più evidente di ieri che il futuro del Nord dipende dalla capacità di investire sul Sud. Grandi opere come l’Alta Velocità nelle aree interne e l’ammodernamento dei porti basterebbero per creare le premesse di un nuovo inizio. Gli avversari della Ue hanno armi meno a late, ma ricordiamoci che la retorica sovranista poggia su di coltà reali, sulle ingiustizie prodotte da una globalizzazione a rettata Bisogna accelerare sulle grandi opere, dice de Bortoli. Nel piano “Italia Veloce” approvato lo scorso luglio ci sono tuttavia “segnali incoraggianti” PRIMO PIANO
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