Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2020
28 Civiltà del Lavoro ottobre • novembre 2020 Alfredo AMBROSETTI Recuperare il terreno perduto non sarà né facile né breve Fondatore del Gruppo Ambrosetti e ideatore di iniziative di successo quali il Forum omonimo, che dal 1975 ad oggi rap- presenta uno dei principali appuntamenti per capi di Sta- to e di governo, Alfredo Ambrosetti continua a dimostrare una profonda attenzione verso l’attualità e i problemi del nostro Paese. Motivo per il quale gli abbiamo chiesto un parere su come l’Italia sta gestendo la pandemia. Come ha risposto il nostro Paese per quanto riguarda il sostegno all’economia? Più che il nostro Paese, come hanno risposto le autorità del Paese? Hanno risposto malissimo perché hanno chiu- so presto molte aziende, senza distinguere le categorie e provocando un effetto domino. Mi spiego meglio: se si chiude un’azienda le cui forniture so- no necessarie per un’altra azienda che non è chiusa, questa va in grande difficoltà. Anche se un’azienda è chiusa, anche per periodi brevi (meno di due mesi), il suo fatturato crol- la a picco e ci si può aspettare che fallisca. Da profondo conoscitore del mondo delle imprese, ritie- ne che oggi ci siano le condizioni per recuperare il terre- no perduto? E quanto tempo sarà necessario? L’Italia non cresceva già da tanti anni prima della pandemia, il suo Pil è arrivato a zero. Era paragonabile ad una persona esile, cagionevole, gracile. Quando era già in questa situa- zione, è arrivata la pandemia. La globalizzazione richiede leader con grande competen- za nella strategia competitiva mondiale e un ministro de- gli esteri con grande spessore e competenza dell’estero. Poi c’è il pesantissimo debito pubblico, che va sempre più aumentando. Come la stessa parola “debito” dice, con un debito bisogna pagare gli interessi e nel 2019 sono stati di 60 miliardi di euro, risorse che hanno ammazzato le pos- sibilità di investire in ricerca e reso ulteriormente difficile lo sviluppo. Da quanto ho appena affermato emerge con chiarezza che il recupero del terreno perduto non sarà né facile, né bre- ve. Il tempo necessario dipende da tanti fattori impossibili da prevedere: imprenditori molto capaci, con grandi abilità nell’esportare, e investire bene; un’economia internazionale in fase di crescita; il comportamento e i risultati dei concor- renti di tutti i paesi perché nella globalizzazione, come indi- ca la parola, si gioca nel globo e quindi nel mercato globale. Quali sono le misure che il governo dovrebbe mettere in campo per aiutare le imprese e quindi tutelare il lavoro? Investimenti di competenza pubblica (infrastrutture, etc.), facilitazioni anche fiscali alle imprese, giustificate da moti- vazioni specifiche oggettive e non da assistenzialismo; poi occorre snellire e professionalizzare ulteriormente la bu- rocrazia, una vera palla di piombo, pesantissima, che grava sul nostro Paese. La difesa del lavoro merita invece un discorso a parte. Da qualche anno – sarebbe troppo lungo in questa sede spiegare tutte le cause –, è “scoppiata” l’auto-responsabiliz- zazione dei giovani. Ogni giovane è responsabile della pro- pria vita, del proprio lavoro e del proprio successo. Nel frattempo, le conoscenze e le competenze variano in modo sempre più accelerato e, indipendentemente dall’e- tà, si è passati dall’impiego all’impiegabilità a vita. Se una persona non è in grado di aggiornarsi alla stessa ve- locità delle competenze richieste perde la capacità di esse- re impiegabile. Il cancro di questa sfida è l’assistenzialismo perché abitua i giovani – anziché a darsi da fare, a migliora- re, a essere competitivo – a fruire di sussidi di livello quasi equivalente allo stipendio di un lavoro, impigrendo su un divano senza studiare e senza cercare un impiego. L’Italia non cresceva già da tanti anni prima della pandemia. Quando era già in questa situazione, è arrivata l’emergenza che abbiamo di fronte PRIMO PIANO
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