Civiltà del Lavoro, n. 2/2021

27 Civiltà del Lavoro marzo • aprile 2021 Come vede parliamo di cose molto concrete, niente fan- tasie da filosofi da strapazzo. L’infosfera è il mondo reale. È dunque una nuova tecnologia, quella digitale, a det- tare un ripensamento dell’essere in termini relazionali? Le tecnologie digitali sono essenzialmente di tipo relaziona- le. Torno alla metafora che le accennavo prima: in una so- cietà newtoniana come quella vittoriana dell’800 si lavora con oggetti principalmente meccanici, ogni elemento vive indipendentemente dall’altro. Pensi a un vecchio orologio, composto da tante rondelle, ognuna al suo posto. Tutte esistono di per sé, se le metto insieme monto un orologio. Le tecnologie digitali non funzionano così, non ho tanti piccoli nodi che poi messi insieme fanno la rete. Ho la rete e poi tanti oggetti che come nodi acquistano senso in essa. Non faccio prima l’hardware e poi ci metto dentro il software, entrambi sono pensati come elemen- ti di un sistema più ampio, solo nella rete trovano entram- bi significato. Cos’è un’app senza il dispositivo in cui è chiamata a fun- zionare? E cos’è un device digitale che non può ospitare un’app? Non possiamo utilizzare tecnologie del XXI secolo e pensare con categorie del XX secolo. Per dirla con Gunter Anders, “L’uomo è antiquato”? In questo caso è il pensiero ad essere antiquato. In un intervento sul Sole 24 Ore Margrethe Vestager e Jo- sep Borrell, rispettivamente Commissario per la concorren- za e Alto rappresentante per la politica estera e la sicurez- za, hanno auspicato la creazione di una “coalizione globale intorno a una visione condivisa della digitalizzazione cen- trata sull’uomo”. L’Europa prova a “plasmare la trasformazione digitale del mondo” nel nome dei valori espressi nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Ce la farà? Sono moderata- mente ottimista. L’ottimismo è dato dalla direzione, la moderazione dalla con- siderazione delle condizioni di partenza. L’Europa ha dalla sua parte un enorme motore rappresentato dal livello di ricchezza della sua popolazione, dal suo livello di istruzio- ne, e da un sistema legislativo straordinariamente solido. Mi chiedo però quale sia la sua forza in termini di produ- zione di innovazione. Se non produci innovazione è diffici- le che tu possa essere alla testa di una coalizione globale in grado di indicare la strada da seguire nell’uso delle nuove tecnologie. Il guaio è che non impariamo mai dalla storia. Cioè? Siamo spesso portati a pensare che produrre innovazione significhi fare di più di quello che si fa adesso. Oggi si ven- de molto l’intelligenza artificiale, allora facciamone di più. Sbagliato! L’altro ieri non si parlava mica di intelligenza ar- tificiale, ecco l’Europa non deve cadere in questo errore di prospettiva, deve lavorare alle tecnologie del domani mi- rando ad assumere un ruolo di leadership. Non facciamo l’errore di scimmiottare gli altri per poi pensare di dettare regole. Sul piano energetico si stanno giocando tante par- tite importanti, dalle batterie di nuova generazione all’idro- geno. Perché non pensare di assumere una leadership in questi settori strategici. Cosa la entusiasma di più del suo rientro in Italia? E, a proposito, nel prendere questa decisione ha giocato un ruolo anche l’elemento nostalgia? Sono mosso solo dall’entusiasmo e per niente dalla nostal- gia. Tornare in Italia mi mette nelle condizioni di poter da- re un contributo su tanti progetti che riguardano il Paese, cose che dal Regno Unito non potrei fare con uguale dedi- zione. Ma prima di tutto, devo dire che attraverso l’ateneo bolognese il sistema italiano della ricerca ha tutte le car- te in regola per avere un ruolo di leadership sul digitale. Si tratta di una sfida difficile ma possibile. A me non piaccio- no le sfide titaniche, quelle che sai già di dover perdere, ma quelle erculee sì. Lì c’è una possibilità di vittoria, l’università di Bologna ha dei tempi di progettazione e di esecuzione assolutamente competitivi, sull’innovazione possiamo gio- carcela. E poi c’è un altro aspetto. Quale? La Brexit. Fino all’altro ieri ero un cittadino europeo, oggi non è più così. E allora con l’altro mio passaporto decido di rimanere fermamente europeo. PRIMO PIANO

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