Civiltà del Lavoro, n. 3/2021

109 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2021 entocinquanta anni sono pochi per una città che ne conta 2774, ma troppi per un argomento infinito che non può essere contenuto in un appuntamento conviviale. Ho pensato perciò di offrire qualche spunto, qualche curiosità di carattere storico in grado di alimentare la conversazione. Inizierei da un anniversario che abbiamo celebrato pochi giorni fa, il 21 aprile, ovve- ro il Natale di Roma, al quale un quotidiano romano, il Messaggero, ha dedicato un editoriale per lamentare una festa in sordina per un paese privo di una visione. E l’ar- ticolo di Mario Aiello cominciava proprio così: “Il Nata- le di Roma che non diventa una festa italiana pienamen- te vissuta come fatto nazionale, è sempre stato il segno di un’anomalia nel rapporto tra la capitale ed il paese. Si stenta ancora in maniera autopenalizzante a identifi- carsi davvero nella città che guida l’Italia. D’altro canto non è una novità. È una questione antica, vorrei dire un vizio di origine. Perché già prima dell’uni- ficazione e nel dibattito che l’aveva preceduta, lo stesso Massimo D’Azeglio sosteneva che se l’Italia avesse scelto Roma come Capitale, avrebbe rinunciato a costruire una nazione nuova con un suo Campidoglio. E quindi confer- mava quello che tanti anni dopo a sua volta lamentava, asserendo che questo Paese non ha una visione della sua Capitale. E la Capitale non ha una visione del Paese e sono tante le testimonianze che nel corso di 150 anni si sono susseguite. Ne ho selezionate alcune per offrire spunti diversi. Per Franco Ferrarotti, Roma Capitale non è mai stata amata dagli italiani. È stata più subita che vo- luta dai piemontesi scesi da Torino e poi da Firenze più da invasori che da compatrioti. Lo storico, Vidotto, af- ferma che Roma non è mai riuscita ad assolvere in pieno il suo ruolo simbolico e politico di elemento unificante del nuovo Stato. A sua volta lo scrittore Moravia nel 1975 scriveva che la grande speranza del dopoguerra è stata che a Roma si formasse finalmente una capitale e cioè il luogo in cui vengono elaborati e presentati i modelli di comportamento per un’intera nazione. Purtroppo però questa speranza non si è realizzata e anzi, al contrario, si è verificato il processo inverso a quello che porta di solito alla formazione di una Capitale. Dalla provincia di Roma sono venuti apporti vitali, ma Roma li ha trasfor- mati non già in modelli per l’intera nazione, bensì in un magma burocratico, cioè in divieti, norme, regolamen- ti, limiti, leggi e così via. D’altra parte avrete tutti letto in questi anni le ricorren- ti, amare considerazioni di Giuseppe De Rita, nel rap- porto annuale del Censis, sui mali di Roma. E quindi per chi vive a Roma questo sentimento, questa anomalia so- no ben presenti. Una anomalia tanto forte che nel 2006 qualcuno pensò bene di fare una legge per ribattezzare Roma che è stata così definita Roma Capitale. Una tau- tologia, a mio giudizio inutile e fastidiosa, perché non c’è bisogno di specificare che Roma è la capitale. Essa è la Capitale per eccellenza, per natura, per vocazione, per storia e non è il caso che tutte le menti che hanno guidato il nostro Risorgimento, pensassero che l’unità d’Italia non fosse completa se non nel momento in cui avesse avuto come Capitale Roma. E tutti, monarchi- ci, repubblicani e moderati hanno inseguito questo mi- C Tutte le strade partono da ROMA di Gianni LETTA Gianni Letta VITA ASSOCIATIVA

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