Civiltà del Lavoro, n. 3/2021
110 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2021 VITA ASSOCIATIVA to come suggello e coronamento di un processo di uni- ficazione che, da Cavour a Garibaldi, vedevano come il completamento dell’unificazione d’Italia. Ma chi non vo- leva Roma Capitale? Paradossalmente non la voleva pro- prio il popolo romano. Uno storico dell’epoca, nel 1862, Ferdinando Petruccelli della Gattina scrisse che i roma- ni di oggi non sono più quelli del ’48. Sono i romani di San Pietro che non vogliono la Capitale e non la voleva soprattutto il popolo di Torino. A Torino ci furono som- mosse e tumulti, con 55 morti e 133 feriti e le dimissioni del governo Minghetti. Perché era soprattutto la Fran- cia di Napoleone III che non voleva la capitale a Roma in quanto difendeva il potere temporale del Papa. Qualcu- no pensò anche di portarla a Napoli ma poi non se ne fece niente e quindi si decise di portarla a Firenze, da dove poi è arrivata a Roma. D’altro canto, basta andare in Campidoglio, dove molti di voi saranno stati a guarda- re da quel balconcino che si affaccia sui Fori, per capire che Roma è la Capitale, e che lo è due volte: nella storia di Roma imperiale e in quella di Roma repubblicana. E lo è due volte ancora oggi, come ha ricordato proprio og- gi il presidente Di Paola: Roma è capitale della cristiani- tà e dello Stato italiano. Quindi pensare a una capitale diversa non era possibile e infatti Roma venne dichiarata ufficialmente capitale del Regno d’Italia il 3 febbraio 1871 con la legge numero 33. È una data che ha una pura valenza simbolica, perchè in realtà dal punto di vista storico, le due date importanti sono la presa di Porta Pia del 20 settembre 1870 e poi il Plebiscito del 2 ottobre dello stesso anno. A Porta Pia l’esercito italiano era guidato dal generale Cadorna, un nome che ritornerà poi nella storia d’Ita- lia, mentre le truppe pontificie erano affidate al gene- rale Hermann von Kanzler. L’assedio durò poco perché Pio IX, che pure aveva rifiutato l’ingresso pacifico del- le truppe italiane a Roma, voleva simbolicamente alme- no una resistenza ma non uno spargimento di sangue. Quindi la resistenza durò poco. Alle 10 del mattino il ge- nerale Cadorna firmò il bollettino in cui si diceva che Por- ta Pia era stata forzata con una breccia laterale aperta in 4 ore, e che le colonne erano entrate malgrado una vigorosa resistenza. Ma l’aspetto singolare è che sicco- me il Papa aveva minacciato la scomunica a chi avesse ordinato di fare fuoco per primo contro Roma, gli ita- liani, sempre abili e furbi, trovarono un escamotage che consentì di superare il problema: fu individuato un capi- tano, che si chiamava Giuliano Segre, di Saluzzo, di reli- gione ebraica, che fu pregato di dare l’ordine, in modo che la scomunica non lo avrebbe colpito appunto per la sua appartenenza alla religione ebraica. Anche in quel caso le informazioni divergono e le crona- che sono contraddittorie. Edmondo de Amicis, che fu il primo cronista dell’arrivo degli italiani a Roma, diede un ritratto fantasioso di bandiere al vento inneggianti all’I- talia e di popolo in festa mentre i giornali piemontesi tra cui la Gazzetta del popolo del 25 dicembre 1870, affer- mava che una folla considerevole si avviava alle Quattro Fontane accogliendo con entusiasmo, plausi e lacrime di gioia, l’esercito liberatore che occupando gli sbocchi delle vie traverse si dirigeva verso la piazza di Monte Cavallo, dirimpetto al Quirinale. Ben diversa la cronaca, asciut- ta, di uno dei comandanti di fanteria, primo entrato a Roma, che descriveva invece l’arrivo degli italiani in una città assolutamente deserta, in cui tutte le case, nessu- na eccettuata, avevano le finestre ermeticamente chiu- se, come scrive uno degli ufficiali della brigata che avan- zò per prima, il capitano Tito Cianchi. Sentendo la musica del reggimento, qualcuno aprì uno spiraglio, ma nessuno andò incontro ai soldati e quan- do giunsero a Piazza Colonna, davanti a Palazzo Chigi, la guardia pontificia stava facendo colazione ed il co- mandante uscì masticando e rese gli onori. L’ordine era comunque di non entrare a Borgo Pio e dentro le mura leonine che il governo italiano intendeva conservare co- me territorio sotto la sovranità del Papa. Per cui, dice il capitano Cianchi, gli applausi “li ho ricevuti nel ghetto quando sono arrivato oltre Trastevere”. L’annessione dei domini pontifici al regno d’Italia fu un altro momento importante che passò attraverso il Ple- biscito del 2 ottobre 1870. Ci fu una vittoria schiacciante dei “si” con 46750 voti favorevoli e solo 46 contrari, ma il referendum determinò la nascita della questione ro- mana. I politici, a cominciare da Cavour, erano convinti che il Papa, liberato dal potere temporale potesse eser- citare meglio e completamente il potere spirituale. Ma Pio IX al contrario affermava di essere stato espropriato Basta andare in Campidoglio, e guardare da quel balconcino che si affaccia sui Fori, per capire che Roma è la Capitale, e che lo è due volte: nella storia di Roma imperiale e in quella di Roma repubblicana
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