Civiltà del Lavoro, n. 3/2021

116 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2021 VITA ASSOCIATIVA menti di testa, per sviluppare la capacità di giudizio, e mani, che non equivalgono solo a saper maneggiare una pialla ma ormai anche ad usare un cellulare. “La scuola ha ancora senso di esistere quando con Goog- le puoi acquisire qualunque conoscenza?”. Si interroga a voce alta il prof. Bianchi. “Sì, perché la scuola è presidio di legalità e partecipazione”, non esita ad aggiungere un istante dopo. Abbiamo riscoperto nell’ultimo anno come la lezione in presenza sia molto più di una semplice im- partizione a senso unico di nozioni e quanto questa sal- vi da solitudine, abbandono, disparità e devianze. A sen- tire il ministro fanno eco nella mente le parole di Victor Hugo che lungimirante soleva dire: “Chi apre le porte di una scuola chiude quelle di un carcere”. E a chi gli chiede se lui creda nelle scuole di eccellenza, risponde senza retorica che l’ICS “Rita Borsellino” e la scuola media fondata da Padre Pino Puglisi di Palermo, entrambe osteggiate o incendiate dalla mafia, sono le uniche scuole di eccellenza che conosce. Se non si riequilibrano infatti le opportunità di parten- za, il merito rimane una verifica ex post delle condizio- ni iniziali. La lezione vale doppia perché a darla è quello che una volta era un ragazzo che ha preso per primo il diploma della sua famiglia, a suo agio col vendere polli e gestire un teatro pur di pagarsi gli studi, e che oggi è ar- rivato da ordinario e rettore emerito a guidare la Scuola italiana. E pensare che nel ‘76 il suo preside di facoltà a Trento gli pronosticò lapidario che non avrebbe mai fat- to carriera. Ma già allora le circostanze parevano smen- tirlo, perché nel frattempo assegnava, con l’intento di punirlo, l’allora ricercatore Bianchi al professor Mario Draghi. Ma questa è tutta un’altra storia. * L’autore è un allievo del Collegio Universitario dei Cavalieri del Lavoro “Lamaro Pozzani” una nazione non è il tesoro del re ma la capacità di or- ganizzare la sua forza produttiva.” Da buon pedagogo evoca poi le discipline non cognitive che servono a com-prendere e dunque a tenere insieme chi abbiamo intorno, non a catturarlo, ovvero a capirlo, nel significato originario del suo etimo latino. Prende spunto dalla riflessione in sala di una dottoranda tedesca, Marie Luise, per indicare le coordinate valoriali del nostro tempo. Mentre nel ‘700 lo Stato e il suo sis- tema educativo erano ancora fondati su base patrimo- niale e la società aveva un suo centro, il monarca, og- gi è l’interposizione delle forze a determinare i rapporti sociali. L’economia non ha un solo centro ma plurimi in grado di ripensarsi. Trapela la sua cifra da economista quando bacchetta chi ancora dipinge questa disciplina come la figurazione di mondi fermi. Il senso dell’economia giace invece nel cogliere le regole della vita comune. E proprio questa dis- ciplina, così praticata, vedrebbe bene il ministro come un valido strumento per consentire agli studenti italiani di imparare ad imparare, a risalire alla radice delle cose. Molti sono infatti i cambiamenti epocali in corso e tutti sono molto più rapidi dei tempi necessariamente lung- hi dei cicli scolastici del nostro sistema formativo. Da qualche anno ci stiamo accorgendo che i bimbi di oggi faranno lavori che ancora non esistono. Allora più che inseguire la novità, la scuola deve puntare a trasmettere una preparazione di fondo, che consenta di ricomporre il sapere, frammentato e disperso in tante branche e fonti, e di disporre in sequenza elementi della realtà che per la prima volta ci tangono. Quella che in questi mesi sta plasmando il ministro Bianchi è una scuola “affettuosa”, che insegni a non avere paura, infondendo valori che mettano al riparo dall’an- goscia del cambiamento. Una scuola che si serva pari- Da sinistra: Maurizio Sella, Patrizio Bianchi e Sebastiano Maffettone

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