Civiltà del Lavoro, n. 3/2021
39 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2021 FOCUS ne e coesione; salute) sia nelle tre missioni trasversali che riassumo con categorie diverse da quelle del Pnrr. E cioè: connessione, attrattività e istruzione. Ma come si fa a recuperare dal 2021 al 2026 un ritar- do di almeno 40 anni? Come investire gli 80 miliardi del Pnrr e le altre risorse italiane ed europee che co- prono e oltrepassano il corrente decennio. Si può al- lora guardare a più decenni? Bisogna guardare oltre il 2026 e non solo perché sul pe- riodo 2021-2027 per il Sud ci sono anche i Fondi strut- turali, il Fondo di sviluppo e coesione e altre risorse. La “governance” per e nel Mezzogiorno sarà cruciale perché è noto come in molti casi i fondi disponibili non vengono usati o lo sono con grandi ritardi e con vari ina- dempimenti. Ciò crea dei circuiti di sfiducia che poi so- no difficili da rimuovere e che sono anche una delle cau- se di emigrazione dal Sud. Eppure, ci sono al Sud delle punte di eccellenza sia nella imprenditoria, sia nella ri- cerca scientifica, sia nella dedizione al bene comune di non pochi pubblici ufficiali. Ma senza un sistema reti- colare pubblico-privato, di solidarismo liberale è molto difficile portare a termine un impegno di investimenti di queste dimensioni. Non è quindi solo un problema di criminalità organiz- zata, che pure danneggia gravemente il Mezzogiorno e che viene combattuta dai “servitori dello Stato” che me- ritano tanta ammirazione e sostegno. Se questi investi- menti e la potenzialità innovativa e di riforme che essi richiedono non ci sarà, allora il declino italiano in Euro- pa sarà inevitabile. Sul Mezzogiorno si misura anche il successo dell’Italia sul Pnrr. Lei prefigura un “nuovo meridionalismo”? Come con- cluderebbe la sua proposta in questo terzo decennio del XXI secolo italiano ed europeo? Il nuovo meridionalismo deve essere fatto di “mezzi”, di “fini” e di “nessi”. In altri tempi ci fu la Cassa per il Mezzogiorno, che aveva due grandi obiettivi: creare le infrastrutture e creare poli industriali con l’intento an- che di favorire e sviluppare una cultura imprenditoriale “dal basso”. Adesso si potrebbe “esternalizzare”, alme- no fino al 2026, le competenze per l’impiego dei fondi Pnrr, accentrandole in un ente dedicato, magari con- trollato dalla Cassa Depositi e Prestiti. Tale soluzione ri- sponde anche alla necessità di valorizzare i ceti dirigenti del Sud, incentivandoli a riacquisire una forte credibilità politico-istituzionale. Il problema del successo o meno del Pnrr dipenderà dalla costruzione aggiornata di un modello organizza- tivo. Sappiamo che la Cdp svolgerà un ruolo cruciale in tutto il Pnrr, ma sul Mezzogiorno ci vorrebbe un ente a sé, con risorse umane addizionali acquisite al meglio. La Cdp dispone già di quelle figure professionali e tec- niche, ma altre sono necessarie per creare una “Cassa del Mezzogiorno 4.0” finalizzata all’attività di program- mazione ed esecuzione degli investimenti del Pnrr. Ma anche capace di dialogare con la “Consulta Costituen- te” del Mezzogiorno. Saraceno scrisse nel 1987 che il Sud necessitava di uno “speciale apparato pubblico non burocratico” con la “re- sponsabilità di programmazione, progettazione e finanzia- mento pluriennale degli interventi aggiuntivi e interset- toriali volti allo sviluppo della società meridionale”. Una entità “sottoposta al controllo del governo per quanto riguarda l’indicazione degli obiettivi e la vigilanza sul lo- ro perseguimento, ma pienamente autonoma sul piano organizzativo, tecnico e operativo”. Vale ancora se rilet- ta e reinterpretata nel terzo decennio del XXI secolo. Foto zven0© 123RF.com
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