Civiltà del Lavoro, n. 3/2021
55 FOCUS Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2021 vono essere i comparti da proteggere e rilanciare e desti- narvi risorse ingenti. E poi c’è un altro aspetto. Quale? L’incapacità delle imprese italiane di fare rete, c’è troppo individualismo. Non sempre è vero che “piccolo” è anche “bello”. Anzi, la pandemia ha dimostrato che chi non ha nu- meri adeguati viene spazzato via. Per avere voce in capito- lo è necessario incentivare all’aggregazione, alla fusione di piccole imprese e formare una catena, creare reti per af- frontare il mercato mondiale, perché non si può affronta- re l’oceano, in questo periodo addirittura in tempesta, con una zattera. Ci vuole un transatlantico. Da dove partire? Si parla ampiamente da tanti anni del fatto che l’Italia può crescere solo se cresce il Sud. Non lo dico perché sono un imprenditore del Mezzogiorno, ma perché è un dato ogget- tivo. È evidente che la spinta del Sud alla crescita del Pae- se è indispensabile. Il Mezzogiorno è una prateria sconfina- ta di opportunità, che attualmente viaggia con 30/35 punti percentuali in meno di Pil rispetto al resto del Paese. E il settore dell’automotive è uno dei pochi che può trainare la sua ripresa. La produzione di auto, infatti, avviene per il 90% da Cassino in giù. Se il Governo si ponesse l’obiettivo di incrementare la produzione dalle 500.000 vetture an- nue attuali ad 1 milione, è chiaro che il Sud sarebbe pro- tagonista e potrebbe fare un notevole balzo in avanti. Le ripercussioni sarebbero importanti anche sui livelli occu- pazionali. Abbiamo giovani a iosa da poter impiegare, con tante competenze e professionalità specifiche, formati da Università che sono eccellenze e oggi costretti ad andare via. Un vero paradosso, oltre che un meccanismo a perde- re. E ancora, è necessario intervenire su tre pilastri fonda- mentali: la riforma della giustizia, la riforma della pubblica amministrazione e la riforma del fisco. Solo in questo mo- do sarà possibile attirare investitori esteri e rendere il ter- ritorio competitivo. La transizione all’elettrico è una possibilità? A che punto siamo? È come se ci trovassimo in una tempesta perfetta: al forte calo di produzione dell’industria automobilistica, corrispon- de la spinta all’innovazione e alla trasformazione tecnologica richiesta per l’auto elettrica. Un cambiamento sicuramente necessario, ma che richiede un radicale cambiamento degli stabilimenti produttivi senza precedenti, che avrà impat- ti anche sull’occupazione. Questa trasformazione, però, deve essere affrontata con buon senso e senza fretta. Ho l’impressione che in tal senso manchi ancora un orizzonte comune e che ci sia la tendenza ad accelerare oltremodo i tempi, con traguardi ancora confusi. A cosa si riferisce? Bisogna procedere per gradi. Mettere oggi incentivi sull’ac- quisto di auto elettriche è quanto mai prematuro perché attualmente ne produciamo poche in Italia, circa il 10% del- la produzione complessiva annua di vetture. Perché invece non partire dalla rottamazione dell’attuale parco circolante di auto? È il più vecchio d’Europa e molto inquinante. Ab- biamo circa 3milioni di auto euro zero, nella fascia euro uno - euro quattro ce ne sono in circolazione 14 milioni. Anzi- ché aspettare l’elettrico, non sarebbe meglio cominciare a prevedere incentivi per la rottamazione per passare all’eu- ro 6? Abbatteremmo il CO 2 del 60-80%, creeremmo nuova occupazione, salveremo l’indotto e rilanceremo il settore. Come è evidente, il lavoro c’è ed è da qui che bisogna par- tire. Ci sono cose a portata di mano che si potrebbero fare subito. È a questo che mi riferisco quando dico che manca una visione. (B.G.) La pandemia ha dimostrato che chi non ha numeri adeguati viene spazzato via. Per avere voce in capitolo è necessario incentivare all’aggregazione, alla fusione di piccole imprese e formare una catena per affrontare il mercato mondiale NICOLA GIORGIO PINO è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2016. È presidente di Proma SpA, azienda fondata nel 1980 ed attiva nella produzione di componenti per l’industria automobilistica. È presente in 10 paesi, con 23 stabilimenti produttivi, dei quali 13 in Italia e conta circa 3.500 dipendenti
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