12 Civiltà del Lavoro novembre • dicembre 2022 PRIMO PIANO Pnrr e modernizzazione L’ANNO DELLA SVOLTA “L’ economia italiana può fare un bilancio positivo del 2022. Proveniamo da due anni di ripresa sostenuta rispetto ai nostri ritmi tradizionali e con un recupero del Pil del 10% abbiamo di fatto colmato il gap maturato durante la pandemia”. Stefano Manzocchi, prorettore per la ricerca dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, è fiducioso. Questo risultato, spiega, è dovuto al lavoro avviato con il Piano nazionale di ripresa e resilienza durante il governo Draghi e a una serie di riforme messe in campo per modernizzare il Paese – “penso al digitale, alla riforma della Pubblica amministrazione, agli investimenti in sostenibilità” – nonché alla ripresa di alcuni settori che erano stati particolarmente penalizzati dalla pandemia e che quest’anno hanno recuperato lo svantaggio, come ad esempio il turismo, i trasporti e la cultura. “L’industria italiana, nonostante gli allarmi provocati dal rincaro dell’energia, dall’aumento dei tassi di interesse e dall’instabilità della guerra, ha concluso un anno molto positivo, confermato anche dai dati sull’occupazione diffusi dall’Istat, che a ottobre scorso certificava un tasso pari al 60,5%, un record storico dal 1977”. Tutto bene, dunque, anche per l’avvio del 2023? Non del tutto. Al quadro appena delineato vanno aggiunti i segnali di alcune difficoltà in parte già emerse. Mi riferisco all’inflazione, che ha raggiunto valori che non vedevamo dagli anni Ottanta. A dicembre la Fed e la Bce hanno aumentato di mezzo punto i tassi di interesse, che colpiscono l’industria e la popolazione in modo non uniforme. In particolare, ad essere penalizzate sono le imprese più indebitate, che magari hanno fatto investimenti, o le famiglie che hanno contratto un mutuo. Più in generale, l’inflazione colpisce redditi fissi e pensioni, mentre a livello industriale subiscono il contraccolpo i settori più dipendenti dalle forniture energetiche. Queste preoccupazioni ce le porteremo anche nel 2023. A proposito di investimenti l’Istat ha stimato che nel 2022 chiuderanno con un +10%, mentre nel 2023 aumenteranno in maniera più contenuta (+2%). Quanto deve preoccupare questo dato? Abbastanza. Il ritmo elevato registrato nel 2021 e nel 2022 si spiega in parte come reazione allo stallo durante la pandemia, in parte per la spinta data dal Pnrr. Un rallentamento adesso è fisiologico, ma l’aumento dei tassi di interesse citato poc’anzi rappresenta un bel peso nella pianificazione delle imprese, che passano da tassi vicini allo zero a valori che sfiorano in alcuni casi il 3-4%. Il rallentamento degli investimenti è un problema perché coglie il Paese in una fase complessa, di grande trasformazione dell’economia (al tema è dedicato l’ultimo numero della Rivista di Politica Economica “Il nuovo atlante. Come gli shock globali stanno cambiando l’economia”, diretta da Manzocchi, ndr). Una fase rispetto alla quale è fondamentale la capacità delle imprese di adeguarsi dal punto di vista infrastrutturale. Per usare una Intervista a Stefano MANZOCCHI di Silvia TARTAMELLA Stefano Manzocchi
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