29 Civiltà del Lavoro novembre • dicembre 2022 I PRIMO PIANO mmaginare gli scenari che caratterizzeranno il 2023 è un esercizio difficile, tanto più se, come nel mio caso, ci si occupa di impresa e non di macro economia. Tuttavia, sono convinto che qualche cosa di utile possa scaturire anche dall’ascolto del “sentiment” di coloro che per mestiere investono, innovano, producono ed esportano nel mondo. Mai come in questi mesi l’ipotesi del cosiddetto “cigno nero” si rivela attuale. I fatti: una gravissima crisi geopolitica fattasi guerra guerreggiata, l’onda lunga di una pandemia rilanciata dalle recenti vicende cinesi, una crisi energetica senza precedenti, il ritorno pernicioso dell’inflazione, le pressioni sul mercato delle materie prime, l’interruzione a singhiozzo dei flussi di componenti lungo le catene internazionali del valore. Inoltre, un dato sociale verso il quale occorre porre la massima attenzione: le condizioni economiche del ceto medio e delle fasce più deboli della popolazione sono decisamente peggiorate. Un elenco che conferma la complessità del sistema economico nazionale, così profondamente connesso a quello globale, in cui molteplici elementi che interagiscono tra loro concorrono a determinare accadimenti talvolta inediti e imprevedibili. In uno scenario come questo lasciarsi andare a previsioni “ragionevoli” è un esercizio fin troppo facile; si potrebbe, infatti, affermare che il 2023 interromperà in modo traumatico l’andamento virtuoso dell’industria italiana avviatosi nel 2021 e poi proseguito per gran parte del 2022. Autorevoli analisti confermano questa lettura recessiva, rispetto alla quale però, non siamo allineati. Infatti, il 2023 potrebbe riservarci sorprese positive, dimostrandosi, alla prova dei fatti, un anno meno catastrofico di quanto oggi si immagini. Il primo elemento che vorrei porre all’attenzione dei lettori di “Civiltà del Lavoro” è però questo: quando ci si riferisce al sistema industriale italiano lo si fa, troppo spesso, subendo l’inconscio condizionamento di chi si vede relegato invariabilmente, da almeno quattro lustri, nella posizione di fanalino di coda della crescita, nell’Unione europea e nell’intero mondo industrializzato. La situazione sta cambiando in modo sostanziale, abbiamo smesso di avere l’economia che cresce meno di tutte: negli ultimi difficili anni, a partire dal 2015, le nostre filiere produttive hanno messo a segno un formidabile riposizionamento competitivo che, nel solo biennio 2021-2022, ha concorso a registrare un aumento aggregato del Pil nazionale superiore al 10%, collocandoci ai vertici mondiali. L’industria italiana ha così perfezionato – e mi aspetto che lo farà anche in futuro – l’agganAvanti CON GIUDIZIO di Fabio STORCHI Fabio Storchi
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