27 Civiltà del Lavoro gennaio • febbraio 2023 PRIMO PIANO lo della dispersione scolastica. Con quali strumenti si potrebbe intervenire? Il divario si riduce coinvolgendo i docenti e formandoli a tecniche più aggiornate. Su questo aspetto vi è un’apposita linea di finanziamento prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Speriamo di ottenere risultati. La dispersione scolastica è un’ulteriore criticità, che crea danni non soltanto agli alunni ma anche a tutto il Paese perché un livello medio di preparazione più basso comporta un Pil inferiore. Rispetto ad altri paesi europei siamo indietro, per esempio abbiamo molti meno laureati di quanti l’Ue ci chiede di formare. Quale ruolo possono giocare le imprese all’interno del sistema educativo del Paese? E con quale perimetro? Le imprese possono avere un ruolo importante perché sono portatrici di un modello organizzativo aziendale che è intrinsecamente diverso da quello scolastico. Come associazione abbiamo sempre attribuito grande importanza allo strumento dell’Alternanza scuola-lavoro – oggi chiamata Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento –. La scuola è il primo mondo che i bambini imparano a conoscere dopo la famiglia. Grazie ai Pcto, a partire dai 16 anni, possono entrare in contatto con un modello organizzativo e una visione più orientati al mondo esterno. È un’esperienza istruttiva, che stimola soft skill trascurate dai modelli tradizionali di apprendimento, quali l’assunzione di responsabilità, l’empatia, la relazione con gli altri. Naturalmente si tratta di uno strumento da applicare con tutte le accortezze del caso, alla luce di alcuni incidenti accaduti negli ultimi tempi. Il tema della sicurezza sul lavoro è molto sentito dalle aziende. Il disegno di legge sulle autonomie differenziate attualmente in discussione inserisce il tema della scuola fra le competenze che possono essere avocate in maniera esclusiva dalle Regioni. Quale è la sua opinione? L’iniziativa legislativa finora ha sortito l’effetto di scatenarne rispettivamente i fautori e i detrattori, più su base ideologica che sui contenuti, a mio avviso. Al momento il disegno di legge è una sorta di contenitore, non è chiaro cosa accadrà e con quali modalità. D’altra parte, le intese fra Stato e Regioni per divenire operative necessitano della definizione dei cosiddetti Lep – i livelli essenziali di prestazione –. Per esprimere compiutamente una valutazione servirebbero informazioni al momento non disponibili. Sull’argomento, però, possiamo fare due osservazioni. La prima è che crediamo nel rafforzamento dell’autonomia delle scuole. Esiste da più di vent’anni, ma forse più sulla carta che nella realtà. Cito, a questo proposito, il fatto che i dirigenti scolastici non possono reperire in autonomia i docenti che ritengono più adeguati al contesto e alla scuola che dirigono. Le assunzioni, infatti, avvengono tramite concorso – non molto efficaci nel valutare la preparazione – oppure tramite graduatoria nel caso delle supplenze. I criteri sono i titoli di studio e l’anzianità, mentre non si valuta mai la capacità di motivare gli studenti secondo i criteri che illustravo prima. La seconda osservazione è che non vorrei che l’autonomia regionale si traducesse in una sorta di centralismo regionale, focalizzato sull’assessorato all’istruzione delle singole regioni al posto del ministero. I veri attori dell’autonomia devono essere le scuole e i dirigenti scolastici. Il reclutamento degli insegnanti oggi avviene su base nazionale, ma le risorse sono regionali. Una maggiore autonomia potrebbe aggravare secondo lei le differenze esistenti? Antonello Giannelli La legge 107/2015 della Buona Scuola ha introdotto una card del valore di 500 euro all’anno con la quale i docenti possono acquistare libri o frequentare corsi, ma non necessariamente si formano in ambito pedagogico
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