60 FOCUS Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2023 I dati raccolti con il questionario sono relativi ad aziende molto diversificate in termini di settore, dimensione, localizzazione e cultura per le pari opportunità. Nelle imprese del campione circa il 49% dell’occupazione è di genere femminile, superiore alla media italiana (43% nel 2021), ma la quota di donne si riduce all’aumentare della qualifica (figura 1). La presenza delle donne è ancora bassa soprattutto nelle posizioni apicali: solo il 6% delle aziende ha la maggioranza delle posizioni dirigenziali coperte da donne, che sono una minoranza nelle posizioni dirigenziali legate alla produzione e del tutto assenti nel ruolo di direttore generale. In merito agli aspetti di contrattazione e welfare aziendale emerge che, nonostante l’ampia diffusione della contrattazione di secondo livello (adottata da quasi tre aziende su quattro), solo un’azienda su cinque adotta esplicitamente una contrattazione di genere, ovvero definisce gli istituti contrattuali considerando il beneficio diretto o indiretto per le lavoratrici. È però interessante osservare che, con riferimento ai congedi parentali, oltre a quanto già previsto dalla legge e dal Ccnl, le aziende fanno ricorso alla contrattazione di secondo livello per disciplinare i congedi di paternità (30% delle aziende) e i congedi parentali (26%), oltre ai congedi di maternità (13%). L’83% delle aziende adotta politiche di welfare aziendale, soprattutto servizi per il benessere psico-fisico, incentivi per la flessibilità dell’orario di lavoro, previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa. Circa un terzo delle aziende offre servizi di asilo nido, in tre casi su quattro appoggiandosi a strutture esterne. Dalle interviste si è anche rilevato che gli asili nido aziendali sono presenti soprattutto nelle grandi realtà (ad esempio i grandi gruppi bancari), mentre molte aziende offrono questo servizio in convenzione con strutture esterne. Questo è comunque influenzato da fattori come la demografia della forza lavoro aziendale, la distanza dei/delle dipendenti dal posto di lavoro, la disponibilità di altri servizi di cura (anche informali, come i nonni) nel luogo di residenza del/della dipendente. Alcune aziende attuano politiche di conciliazione anche tramite l’offerta di “servizi accessori” creativi (ad esempio il maggiordomo aziendale, la cella frigorifera in azienda dove far consegnare ingredienti già porzionati per ricette da preparare per la cena a casa, ecc.). SMART WORKING, LA NUOVA NORMALITÀ Tutte le aziende che hanno risposto al questionario adottano, o hanno adottato, lo smart working, anche se nella maggior parte dei casi (oltre il 50% delle aziende) questa pratica è stata introdotta nel periodo della pandemia, soprattutto per garantire la continuità lavorativa. Il 90% delle aziende ritiene che l’introduzione dello smart working abbia richiesto un cambiamento della cultura o dell’organizzazione aziendale. Il ricorso allo smart working ha contribuito a ridurre le assenze e non ha intaccato la produttività del lavoro o la redditività aziendale, ma ha significativamen0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 si lavorano meno ore da casa andrebbe concesso più alle donne che agli uomini non è compatibile con la presenza di figli rende i lavoratori più produttivi ha richiesto un ripensamento dell'organizzazione favorisce la partecipazione delle donne al mercato del lavoro ha richiesto un ripensamento della cultura aziendale aiuta a conciliare lavoro e vita privata è stato fondamentale per continuare l'attività nel periodo Covid 93,01 89,66 89,29 72,41 69,26 65,52 31,03 20,69 3,45 Fonte: nostre elaborazioni su un campione di 32 imprese del Gruppo Lombardo della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro L’OPINIONE DELLE IMPRESE SULLO SMART WORKING % di imprese che si dichiarano d’accordo o molto d’accordo con ciascuna affermazione (Temi in ordine decrescente per frequenza delle risposte)
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