Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2023

31 FOCUS Civiltà del Lavoro | agosto • settembre • ottobre 2023 Foto djedzura © 123RF.com Fra l’altro nell’ultimo anno le imprese italiane hanno scelto di tenere contratti i margini al fine di ampliare quote di mercato e di mantenere la clientela. Una scelta opposta rispetto a quella che hanno fatto in altri paesi, dove gli imprenditori hanno aumentato i propri margini operativi. Da cosa è dipeso l’assottigliamento della base produttiva di cui diceva prima? Una selezione necessaria o c’è dell’altro? La crisi dei debiti sovrani ha spinto i tassi di interesse in alto anche nei confronti di paesi europei vicini e noi siamo quindi stati penalizzati. Anche perché non sono state adottate politiche di bilancio di supporto all’economia quando avrebbero dovuto farlo. Questo ha inciso negativamente. Si è trattato quindi di un processo di selezione indotto dalla carenza di risorse pubbliche. Troppa austerity? Sì, troppa austerity. Negli ultimi tre anni, invece, è accaduto esattamente il contrario e le risorse stanziate dallo Stato, e dall’Europa attraverso Next Generation Eu, hanno fatto sì che il tessuto economico restasse saldo. Nonostante gli shock siamo anzi riusciti a crescere, incrementando Pil, produzione industriale e occupazione. A settembre avete presentato lo studio “Catene di fornitura tra nuova globalizzazione e autonomia strategica”, nel quale sono evidenziate le profonde interconnessioni produttive esistenti in Europa. Che Germania e Italia siano strettamente legate è notorio, quali altri connessioni ha il nostro Paese nella manifattura? Nell’Eurozona la Germania è il nostro partner principale. Forniamo loro componenti e i tedeschi si stanno progressivamente ritagliando un ruolo da assemblatori; in pratica noi siamo a monte del processo, loro a valle. Per quanto riguarda le dipendenze strategiche il paese cruciale in Europa per noi è l’Ucraina, dal quale importiamo prodotti ferrosi, materie prime agricole, prodotti per l’industria ceramica; da India e Cina invece arrivano i principi attivi utilizzati dall’industria farmaceutica, ma anche molti altri prodotti per la transizione green e digitale. Negli ultimi 15 anni è complessivamente aumentata la partecipazione delle nostre imprese alle catene globali del valore, oggi siamo al 35%. Da un lato questo è un bene perché in genere si tratta di aziende più performanti, di contro è chiaro che si è più esposti al rischio di strozzature, come è accaduto negli anni scorsi. In Europa solo la Germania fa meglio di noi, ma rispetto a loro noi siamo più diversificati e per questo motivo, per esempio, abbiamo resistito meglio alla crisi dei chip, che ha invece fermato la loro produzione. Per quanto riguarda le dipendenze strategiche il paese cruciale in Europa per noi è l’Ucraina, dal quale importiamo prodotti ferrosi, materie prime agricole, prodotti per l’industria ceramica; da India e Cina invece arrivano i principi attivi utilizzati dall’industria farmaceutica, ma anche molti altri prodotti per la transizione green e digitale

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