21 Civiltà del Lavoro | novembre • dicembre 2023 PRIMO PIANO Dall’altro lato dell’oceano, invece, gli Stati Uniti, con l’Executive Order, enfatizzano la promozione di standard e best practice, con un forte accento sull’innovazione, mirando a guidare lo sviluppo dell’IA senza imporre regole troppo prescrittive. Il rischio per l’Ue, quindi, è che l’AI Act non raggiunga l’effetto sperato sul piano internazionale e che altri grandi paesi – il Regno Unito, ad esempio – scelgano di seguire l’approccio degli Usa piuttosto che quello europeo. Il nostro sistema scolastico è in grado di formare un numero sufficiente di giovani informatici per soddisfare la domanda delle imprese nel settore del digitale e dell’intelligenza artificiale? E che cosa possono fare le imprese per contribuire alla loro formazione? I dati dell’Osservatorio sulle Competenze Digitali mostrano che nel 2022 la domanda di professionisti Ict ha superato di cinque volte l’offerta formativa del sistema italiano, lasciando un gap di circa 175mila specialisti. Per colmare questa lacuna, le imprese hanno un ruolo fondamentale. Possono offrire programmi di apprendistato e collaborare con le università per dottorati industriali, creando un collegamento diretto tra formazione e lavoro. Inoltre, l’investimento in upskilling e reskilling è cruciale per adattare le competenze dei lavoratori alle esigenze del settore. Oltre a ciò, la formazione continua è essenziale per lavoratori attivi, Neet e disoccupati. In Italia, ci sono ancora grandi sfide da affrontare in termini di formazione al lavoro, come la mancanza di sistemi di certificazione riconosciuti dalle imprese. Le Academy aziendali, insieme agli ITS, svolgono un ruolo chiave per sviluppare formazione di qualità, adatta sia ai dipendenti che ad altri settori. È importante che queste iniziative siano supportate da sistemi di incentivi pubblici. Concludendo, una trasformazione digitale profonda richiede una rivoluzione culturale che valorizzi il talento e l’innovazione, a partire dalle scuole fino alle aziende. L’Italia deve mirare alla creazione di un ecosistema collaborativo che promuova una cultura digitale in tutti i settori della società. Che cosa consiglierebbe a un imprenditore non digitalizzato per recuperare un suo eventuale ritardo? Per iniziare a colmare un gap nella digitalizzazione, bisogna prima capire bene cosa serve all’azienda e dove il digitale può davvero fare la differenza. È essenziale non buttarsi a capofitto su ogni nuova tecnologia sull’onda dell’hype. La trasformazione digitale va fatta su misura, come un vestito cucito apposta per l’azienda. Pensiamo all’Intelligenza artificiale: non è una commodity qualsiasi da acquistare, ma una risorsa, le cui funzioni e capacità, devono essere modellate sulle specifiche necessità di chi la usa. Quindi, quando si parla di nuove tecnologie, non si tratta solo di spendere soldi, ma di fare investimenti che portino davvero un vantaggio concreto. E qui entrano in gioco strutture come i Digital innovation hub: per molte imprese – penso soprattutto alle Pmi – queste organizzazioni sono fondamentali per orientarsi nel mondo della trasformazione digitale e quindi prendere decisioni informate e scegliere soluzioni che siano d’impatto per l’azienda. Oltre a questo, è importante investire sulle persone. Non tutte le realtà hanno bisogno necessariamente di un team IT o di grandi esperti, ma ogni azienda oggi ha bisogno di risorse che capiscono i linguaggi della digitalizzazione e sanno come creare valore dall’innovazione. In poche parole, oggi un imprenditore deve essere curioso, pronto a esplorare nuove strade per affrontare problemi che magari non aveva nemmeno considerato e deve avere il coraggio di sempre nell’investire e nel guidare il cambiamento. Questo spesso significa mettere mano a processi aziendali radicati da tempo, adottando un approccio innovativo e aperto a nuove prospettive, che va oltre la semplice introduzione di una nuova tecnologia e abbraccia una trasformazione complessiva della cultura aziendale. L’Intelligenza artificiale non è una commodity qualsiasi da acquistare, ma una risorsa, le cui funzioni e capacità, devono essere modellate sulle specifiche necessità di chi la usa Una trasformazione digitale profonda richiede una rivoluzione culturale che valorizzi il talento e l’innovazione, a partire dalle scuole fino alle aziende
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