Federazione Nazionale Cavalieri del Lavoro numero 2 - marzo • aprile 2024 I CAVALIERI DEL LAVORO IN QUESTO NUMERO: Alessandro Benetton, Franco Bernabè, Bernabò Bocca, Antonio D’Amato, Guido Roberto Grassi Damiani, Paola Michelacci, Luca Patanè, Antonio Patuelli, Massimo Perotti, Carlo Pesenti, Giovanni Russo, Enrico Zobele LA SOVRANITÀ CHE SERVE ALL’EUROPA Con uno scritto di Luigi Einaudi SICUREZZA, COMPETITIVITÀ E BENESSERE. SFIDE DA RINNOVARE Interviste a Francesco Giavazzi e Fredrik Persson TURISMO, EVOLUZIONE DI UN’INDUSTRIA A colloquio con Mattia Barchetti FORMAZIONE D’ECCELLENZA LE RETI DEL MERITO Intervista a Gian Luca Giovannucci I Cavalieri del Lavoro nei Collegi di merito VERSO IL CONVEGNO NAZIONALE 2024 Le Academy dei Cavalieri del Lavoro Interventi di Guido Roberto Grassi Damiani, Massimo Perotti e Giovanni Russo Periodico della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro anno LXIX - bimestrale
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7 EDITORIALE La sovranità che serve all’Europa PRIMO PIANO Ue, benessere e pace Valori da rifondare 10 I 150 anni dalla nascita di Luigi Einaudi Europa federale, un passo alla volta 16 L’urgenza del debito comune Intervista a Francesco GIAVAZZI di Paolo Mazzanti 19 Più competitività e meno burocrazia: che cosa chiedono le imprese A colloquio con Fredrik PERSSON di Paolo Mazzanti 22 Transizione energetica primo punto in agenda di Franco BERNABÈ 24 Continente al bivio: o leadership o declino di Antonio D’AMATO 26 Una nuova Costituzione di Antonio PATUELLI 28 Rispondere alle sfide globali di Enrico ZOBELE Anno LXIX - n. 2 Civiltà del Lavoro Periodico della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro Direttore Cavaliere del Lavoro Maurizio Sella Comitato Editoriale Presidente: Cavaliere del Lavoro Francesco Rosario Averna Cavalieri del Lavoro: Alessandro Bastagli, Daniela Gennaro Guadalupi, Paolo Gentilini, Maria Luigia Lacatena, Clara Maddalena, Sebastiano Messina, Guido Ottolenghi, Debora Paglieri, Emmanuele Romanengo, Olga Urbani Hanno collaborato a questo numero i Cavalieri del Lavoro: Alessandro Benetton, Franco Bernabè, Bernabò Bocca, Antonio D’Amato, Guido Roberto Grassi Damiani, Paola Michelacci, Luca Patanè, Antonio Patuelli, Massimo Perotti, Carlo Pesenti, Giovanni Russo, Enrico Zobele Direttore responsabile ai fini della legge della stampa Paolo Mazzanti Direttore editoriale Franco Caramazza Coordinamento per le attività istituzionali Carlo Quintino Sella Coordinamento editoriale Cristian Fuschetto Coordinamento redazionale Paola Centi Redazione Flaminia Berrettini, Clara Danieli, Cristian Fuschetto, Brunella Giugliano, Giovanni Papa, Silvia Tartamella Progetto grafico Marco Neugebauer e Roberto Randi (thesymbol.it) Impaginazione Emmegi Group Srl Via F. Confalonieri 36 - 20124 Milano Concessionaria Pubblicità Confindustria Servizi SpA Viale Pasteur, 6 – 00144 Roma Tel. 06 5903263 [email protected] Stampa Arti Grafiche Boccia SpA Via Tiberio Claudio Felice, 7 – 84131 Salerno Foto 123RF, AGF, Stefano Guidoni, Shutterstock Gli inserzionisti di questo numero: Banca Popolare Sondrio, Birra Forst, Consorzio Ospedaliero Colibrì, Costa Edutainment, Fontana Finanziaria, Grand Hotel Excelsior Vittoria, Gruppo De Nigris, Hotel Villa D’Este, Inaz, Ing. Ferrari, Pastificio De Cecco, Save Autorizzazione Tribunale di Roma n. 4845 del 28-9-1955 Autorizzazione per il web Tribunale di Roma n. 294/2013 Finito di stampare il 10 maggio 2024 [email protected] CIVILTÀ DEL LAVORO 2 - 2024 Federazione Nazionale Cavalieri del Lavoro numero 2 - marzo • aprile 2024 I CAVALIERI DEL LAVORO IN QUESTO NUMERO: Alessandro Benetton, Franco Bernabè, Bernabò Bocca, Antonio D’Amato, Guido Roberto Grassi Damiani, Paola Michelacci, Luca Patanè, Antonio Patuelli, Massimo Perotti, Carlo Pesenti, Giovanni Russo, Enrico Zobele LA SOVRANITÀ CHE SERVE ALL’EUROPA Con uno scritto di Luigi Einaudi SICUREZZA, COMPETITIVITÀ E BENESSERE. SFIDE DA RINNOVARE Interviste a Francesco Giavazzi e Fredrik Persson TURISMO, EVOLUZIONE DI UN’INDUSTRIA A colloquio con Mattia Barchetti FORMAZIONE D’ECCELLENZA LE RETI DEL MERITO Intervista a Gian Luca Giovannucci I Cavalieri del Lavoro nei Collegi di merito VERSO IL CONVEGNO NAZIONALE 2024 Le Academy dei Cavalieri del Lavoro Interventi di Guido Roberto Grassi Damiani, Massimo Perotti e Giovanni Russo Periodico della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro anno LXIX - bimestrale [email protected] 3 28/05/24 11:47
FOCUS 1 Turismo Evoluzione di un’industria 32 Più dialogo centro-territori per far crescere il turismo A colloquio con Mattia BARCHETTI di Paolo Mazzanti 34 Tecnologia e formazione, così il settore cambia pelle di Bernabò BOCCA 36 Promuovere la cultura dell’ospitalità di Paola MICHELACCI 39 Sostenibilità, una strada obbligata di Luca PATANÈ FOCUS 2 Reti del merito Le sfide della formazione 43 Collegi europei: skills per essere competitivi Intervista a Gian Luca GIOVANNUCCI di Cristian Fruschetto 46 Università, merito e autonomia accademica di Pietro e Sebastiano MAFFETTONE 50 Collegio Universitario Lamaro Pozzani. Nascita di un’intuizione di Gianni LETTA 53 I Cavalieri del Lavoro nei Collegi di merito Made in Italy: incontri nel segno dell’eccellenza FOCUS 3 Verso il Convegno Nazionale 2024 Le Academy dei Cavalieri del Lavoro 56 La scuola dei gioiellieri del futuro di Guido Roberto Grassi DAMIANI 58 Formazione a 360 gradi di Massimo PEROTTI 60 Alta qualità e attenzione all’ambiente di Giovanni RUSSO VITA ASSOCIATIVA 62 Non solo sport, innovazione e tecnologia a gonfie vele FONDAZIONI / MOSTRE / LIBRI 65 Fondazione Pesenti, vent’anni di storia di Carlo PESENTI 69 21Gallery, Benetton: passione per i giovani artisti 72 Ermenegildo Zegna Born in Oasi Zegna
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7 uperiores non reconoscentes”: gli storici fanno risalire a questa definizione uscita dalla Pace di Vestfalia del 1648, che pose fine alla Guerra dei Trent’anni, la nascita degli Stati sovrani moderni che non riconoscevano alcuna autorità, né spirituale né temporale, al di sopra di sé. Oggi, nel nuovo crinale della Storia, di fronte alle sfide geopolitiche delle guerre nel cuore dell’Europa e in Medio Oriente e a quelle economiche della doppia transizione ambientale e digitale, gli Stati europei usciti da Vestfalia debbono decidere se ribadire la propria sovranità “superiores non recognoscens”, oppure accettare di trasferire un’altra parte della propria sovranità all’Europa, proseguendo il cammino avviato nel 1952 con la Comunità del carbone e dell’acciaio (Ceca), proseguito nel 1957 con i Trattati di Roma, che vararono la Comunità europea, e nel 1992 col Trattato di Maastricht, che diede vita all’Unione europea, all’euro e alla Bce. Tutte evoluzioni che hanno garantito ai cittadini europei e in particolare a noi italiani – basta pensare alla fragilità della nostra vecchia lira, esposta alle ricorrenti svalutazioni – una stabilità e una crescita che senza l’Europa sarebbero state assai più difficili. Non è stato un percorso lineare. Ci sono state battute d’arresto e cocenti delusioni, come nel 1953 quando la Francia affossò la Comunità europea di difesa (Ced), e nel 2005, quando ancora la Francia e l’Olanda bocciarono nei referendum nazionali la bozza di Costituzione europea. Ma oggi le urgenze sono forse maggiori di allora e riguardano ancora la difesa integrata e l’aumento del bilancio europeo, attraverso il debito comune già sperimentato dopo la crisi del Covid con il Next generation Eu, che sta finanziando i Pnrr nazionali. Le prossime settimane, con l’insediamento del nuovo Europarlamento e la nomina del nuovo presidente del Consiglio e della nuova Commissione, saranno cruciali per capire se l’Europa proseguirà il percorso verso l’integrazione federale, in cui i singoli Stati membri si privano della sovranità relativa alle materie delegate (come avvenuto con la moneta), superando il criterio dell’unanimità e del diritto di veto ed estendendo il voto a maggioranza nel Consiglio europeo, oppure se l’Unione resterà nel limbo delle forme giuridiche ibride e incompiute, con gli Stati nazionali che resisteranno alla cessione di nuovi poteri e alla fine potrebbero anche riappropriarsi di quelli già delegati, sgretolando l’Unione costruita fin qui. Illuminante e attualissimo, da questo punto di vista, il testo che pubblichiamo di Luigi Einaudi, primo Capo dello Stato eletto con la nuova Costituzione (di cui ricorrono quest’anno i 150 anni dalla nascita), che nel 1952 rifletteva sulle differenze tra integrazione federale e statalismi nazionali e sulla necessità e gli obblighi della difesa comune europea. In due interviste, l’economista Francesco Giavazzi spiega poi perché senza debito comune l’Europa non riuscirà ad affrontare le sfide che ha di fronte, mentre il presidente delle imprese europee rappresentate da BusinessEurope, lo svedese Fredrik Persson, indica che occorre rilanciare la competitività europea, attraverso massicci investimenti in ricerca, innovazione e formazione, non solo per tener testa a Stati Uniti e Cina, ma anche per realizzare la transizione ambientale, da cui dipendono le sorti del pianeta. I 360 milioni di cittadini europei chiamati a eleggere i 720 nuovi eurodeputati (76 gli italiani) chiedono all’Unione europea di continuare a garantire loro sicurezza e benessere, al di là delle posizioni più o meno federaliste o nazionaliste dei singoli partiti, in un mondo sempre più confuso e turbolento. Sta dunque alle nuove istituzioni europee tradurre in pratica le aspirazioni e le speranze del popolo europeo, consolidando e proiettando nel futuro la comune sovranità dell’Europa, senza egoismi nazionali e impossibili nostalgie. (P.M.) “S Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 LE SFIDE DELLE NUOVE ISTITUZIONI COMUNITARIE La sovranità che serve ALL’EUROPA EDITORIALE
PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 PRIMO PIANO 8 BENESSERE E PACE Valori da rifondare Foto Ikars © Shutterstock
9 Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 Dal 6 al 9 giugno i 27 paesi dell’Ue vanno al voto e milioni di cittadini sono chiamati ad eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo. La nuova maggioranza – e la nuova Commissione che ne scaturirà – avrà il compito di guidare il Vecchio Continente nei prossimi cinque anni. La legislatura si annuncia difficile per i numerosi problemi aperti, a cominciare da quello della difesa e della sicurezza di fronte alle guerre in Ucraina e Medio Oriente. Ma ci sono anche la questione industriale, la sfida climatica, l’Intelligenza artificiale. Su questi aspetti abbiamo ragionato con Francesco Giavazzi e Fredrik Persson e con i Cavalieri del Lavoro Franco Bernabè, Antonio D’Amato, Antonio Patuelli ed Enrico Zobele
10 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 EUROPA FEDERALE, un passo alla volta F ederazione e confederazione: le due parole paiono uguali e, volendo, possono essere intese nel medesimo significato; ma è bene, per non cadere in equivoci grossolani, chiarire subito la sostanziale differenza. È vero che la “Confederazione della Germania del nord” era una mezza federazione perché gli stati confederati avevano rinunciato alla sovranità doganale. E quella svizzera si dice “confederazione” sebbene sia una federazione intera, disponendo di un sistema doganale unico, di imposte proprie sul patrimonio e sul reddito, di un unico sistema monetario, di un esercito comune, del diritto esclusivo di rappresentanza all’estero, di poste, telegrafi e ferrovie federali e di molte altre funzioni a poco a poco ad essa attribuite dalle successive variazioni arrecate alla Costituzione del 1848. Gli Stati Uniti d’America, che pur sono, con la Svizzera, il più compiuto tipo di federalismo, non si proclamano, nel loro titolo, né federali né confederali; ma sono “federali” i loro organi supremi: il presidente, il congresso, la corte suprema, l’esercito. C’è dunque una certa confusione e rilassatezza nell’uso del vocabolario, sicché, per esser chiari, si potrebbe dir così: si professano fautori di una “confederazione” coloro i quali non vogliono niente, né federarsi, né confederarsi. Costoro vogliono che gli stati a cui appartengono restino pienamente sovrani, così come sono stati sinora. Consentono a mandare rappresentanti attorno ad un tavolo verde, posto a Ginevra (Società delle nazioni), o a New York (Nazioni Unite), o a Parigi (comunità varie europee) dove siedono i rappresentanti degli stati aderenti. Se i rappresentanti si mettono d’accordo, per le questioni minori a maggioranza, semplice o qualificata, e per le questioni maggiori ad unanimità, qualcosa pare si concluda; ma è poco o nulla. Le deliberazioni devono ancora essere “ratificate” dai singoli stati, i quali hanno conservato la loro piena sovranità; e possono ratificare o non ratificare o traccheggiare senza dir nulla. Dopo che hanno ratificato, gli stati possono tirar per le lunghe col discutere i criteri per la ripartizione delle spese conseguenti alla decisione presa; e, dopo discusso, col tardare a pagare. La confederazione, priva di mezzi propri, è in balia degli stati che la compongono. È pressappoco qualcosa come una alleanza, che può sempre essere disfatta da alleati tiepidi, assenti o traditori. Anche se nel titolo c’è scritto nazioni unite, o società delle nazioni, non si tratta mai di una unione di nazioni, ma di una unione o società od alleanza di stati, gli uni uguali agli altri e pienamente sovrani. Va da sé invece che una “federazione” è una cosa seria. La potremmo anche intitolare “confederazione” se così piacesse e così è piaciuto agli svizzeri, per ragionevole ossequio ad antiche tradizioni del loro vocabolario politico. Quel che importa non sono le parole; importa la sostanza. Federazione vera non esiste se gli stati che si uniscono non rinunciano ad una parte della loro sovranità, trasferendola al nuovo ente federale. Possono rinunciare a poca od a molta parte della loro sovranità. Nel 150° anniversario della nascita (24 marzo 1874) ricordiamo Luigi Einaudi, secondo Presidente della Repubblica – dopo il Capo dello Stato provvisorio Enrico de Nicola – e primo eletto secondo la nuova Costituzione repubblicana, con questo suo scritto del giugno 1952. I 150 ANNI DALLA NASCITA DI LUIGI EINAUDI
11 Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 PRIMO PIANO Di solito, quando – ed è il caso della costituenda federazione europea – storicamente esistono prima gli stati sovrani e poi si forma la federazione, resta inteso che la federazione acquista poteri sovrani solo rispetto a quei compiti od oggetti che furono esplicitamente trasferiti alla federazione; e tutti gli altri poteri rimangono di spettanza dei singoli stati, che, rispetto ad essi, rimangono sovrani perfetti. Così, ad esempio, quando la Comunità europea di difesa fosse costituita, l’Italia, alla pari degli altri paesi federati, non potrebbe più legiferare ed amministrare l’esercito comune; ma tutte le altre faccende di cui lo Stato italiano si occupa adesso o vorrà occuparsi in avvenire, continueranno ad essere da esso esclusivamente regolate; anche, per citare un caso tipico, gli affari relativi ai carabinieri, alla polizia e simili. L’ente nuovo chiamato “Comunità europea di difesa” diventa sovrano per quel che riguarda l’esercito comune, e lo Stato italiano resta sovrano per tutto il resto. La federazione, un passo alla volta Ci sono tante specie di federazioni vere e proprie, con trasferimento di sovranità. Durante le recenti discussioni sono venuti di moda, da coloro che vogliono fare un passo alla volta, i tipi “funzionali” di federazione. C’è qualcosa di vero nella preferenza e nel far le cose un po’ per volta. Ma il vero deve essere veramente tale ed essere innocuo; cosa non facile. Abbiamo da tempo in atto parecchi casi di unioni internazionali funzionanti con buoni risultati. La unione internazionale della Croce Rossa limita la sovranità degli stati belligeranti, imponendo regole comuni per le cure dei feriti, amici e nemici, per il trattamento dei prigionieri, la loro restituzione, vietando offese agli ospedali chiaramente contrassegnati ecc. I vincoli alla sovranità bellica sono stati ritenuti vantaggiosi da tutti gli stati civili, salvo ché, fin dal tempo zarista e per ragioni inesplicabili, dalla Russia; e, pur essendo indubbiamente una limitazione al potere di quegli stati i quali volessero farla finita con i feriti ed i malati, o ridurre in schiavitù i prigionieri, il vincolo fu accettato perché in realtà qualunque stato si reputa più civile e sostanzialmente più forte quando si obbliga ad astenersi da atti moralmente riprovevoli ed offensivi della propria umanità, oltreché atti a provocare crudeli ritorsioni contro i propri connazionali. Federazione vera non esiste se gli stati che si uniscono non rinunciano ad una parte della loro sovranità
PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 12 Del pari, esistono unioni internazionali postali, unioni per la tutela della proprietà industriale, dei marchi di fabbrica, della proprietà letteraria. Gli stati aderenti in queste materie specifiche non possono più fare quel che vogliono, ma devono osservare certe regole comuni. Le unioni di questa fatta sono amministrate da tecnici, che il grande pubblico non conosce, ed attendono al loro mestiere tranquillamente e con vantaggio di tutti. Giornali e parlamenti non si interessano dei modi in cui si regolano i conti tra le diverse amministrazioni postali o ferroviarie; cosicché, sebbene le unioni diminuiscano la assoluta piena sovranità dei governi e dei parlamenti, nessuno si accorge diminutio capiti. Vista la buona esperienza di un certo numero di unioni internazionali tecniche, taluno pensò: perché non fare un passo innanzi ed estendere il principio federativo un po’ per volta ad altre materie? E così venne fuori il fondo monetario internazionale; e sta attuandosi l’unione europea del carbone e dell’acciaio e, più grossa di tutte, si potrà attuare la Comunità europea della difesa. Non bisogna dir male di sforzi che sono certo prova di buona volontà. Ad una condizione: che quegli sforzi non stiano a sé, ma suppongano ed implichino a scadenza prefissata e breve il passaggio alla federazione politica. L’oggetto delle vecchie unioni internazionali – Croce Rossa, proprietà industriale o letteraria, poste – era tecnico, non attinente ai compiti fondamentali dello stato; e l’oggetto spesso si alimentava da sé (tasse sui brevetti, sui marchi, ecc.) o richiedeva contributi minimi agli stati federati. Le nuove unioni sono una faccenda ben diversa: costano assai ed entrano nel vivo della vita di ogni nazione … La necessità di stare uniti Chi invece sia convinto che gli stati dell’Europa occidentale hanno interesse, anzi necessità di stare uniti per difendere i propri ideali civili, la libertà di pensare, di scrivere, di predicare e di credere, e, con essi, la propria esistenza medesima, è contrario alle mere alleanze provvisorie, comunque mascherate con denominazioni verbalmente federalistiche. Le Comunità del carbone e dell’acciaio, quella degli accordi verdi e sovratutto quella della difesa, sono accettabili provvisoriamente solo come mezzo per attuare il concetto più vasto della federazione politica. È un grossolano errore dire che si comincia dal più facile aspetto economico per passare poi al più difficile risultato politico. È vero il contrario. Bisogna cominciare dal politico, se si vuole l’economico. È vero che un unico mercato economico dell’Europa occidentale sarebbe un incommensurabile vantaggio per tutti. Gli stati europei odierni sono, economicamente, dei pigmei. Il loro territorio è troppo piccolo perché in essi si affermi una vera divisione del lavoro. Ieri un mercato di dieci milioni di consumatori pareva bastevole a consentire la vita ad imprese industriali aventi la dimensione economica più adatta a raggiungere i costi minimi ed a reggere alla concorrenza estera. Oggi, non bastano più, almeno in non pochi casi, i 50 milioni e fa d’uopo arrivare ai 100. Un tale cercava di dimostrare la possibilità di vendere ogni anno centomila vetture automobili di un dato tipo invece delle diecimila messe in programma dal produttore. Sarebbe stato necessario ridurre il prezzo alla metà. Ovvia fu la risposta: i costi si sarebbero, si, abbassati alquanto con una produzione di centomila unità; ma non abbastanza per reggere alla concorrenza dei paesi dove può concepirsi un impianto adatto a produrre da mezzo a un milione di unità. Dove il mercato interno non consente di assorbire numeri così alti, la scelta è: lasciar morire l’industria automobilistica, ovvero limitare o vietare l’entrata al prodotto straniero e consentire di vendere sul mercato interno a prezzi remunerativi, siffatti da compensare anche la perdita subita nel vendere il sovrappiù all’estero a prezzi rotti. Poiché la prima soluzione non è politicamente possibile, la via d’uscita dal dilemma è solo l’allargamento del mercato. La federazione europea è il solo mezzo per salvare le industrie sane, capaci di progresso ed oggi arrivate dinnanzi al muro insormontabile di un mercato troppo piccolo. Ma all’allargamento del mercato non si arriva senza dolore. Se il problema è posto dal mero punto di vista economico, l’opposizione di coloro che preferiscono conservare il monopolio del piccolo mercato attuale piuttosto che affrontare l’incognita dell’adattamento al grande mercato federale sarà sempre potentissima. Il veto del produttore nazionale prevarrà sull’interesse generale, quando il produttore nazionale possa ricorrere ai sentimenti diffusi che consigliano la resistenza contro l’invasione straniera … La federazione europea è il solo mezzo per salvare le industrie sane, capaci di progresso ed oggi arrivate dinnanzi al muro insormontabile di un mercato troppo piccolo
13 Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 PRIMO PIANO La difesa comune (pensando a Machiavelli) Oggi gli europei sentono, con angoscia crescente, di non potere difendersi da soli; e si convincono della necessità di mettere in comune i propri mezzi di uomini e di armi se si vuole resistere all’assalto, venga da oriente o da occidente, di agglomerati umani grandiosi. L’angoscia dalla quale a Firenze nel Cinquecento era preso Machiavelli per la impotenza dei minimi stati italiani di fronte a Francia ed a Spagna, è l’angoscia odierna degli italiani, dei francesi, dei tedeschi per la impotenza nostra in confronto ai colossi che ci attorniano. Il superstato europeo non è qualcosa da creare artificialmente. L’Europa esiste già; esiste finché viviamo isolati, nel nostro senso di impotenza, di disperazione; esiste nella speranza crescente di sopravvivere, di tornare ad essere noi, se uniti. Noi già guardiamo ad una bandiera nuova. Che non annullerà le vecchie bandiere; che anzi le salverà. Le bandiere nazionali sono destinate alla scomparsa se ad esse non si aggiungerà, riassumendole, la nuova bandiera europea. La federazione europea nasce coll’esercito comune; e per ora può vivere assolvendo solo quei compiti che sono necessari per la difesa comune. Nessuna federazione è nata perfetta come Minerva dalla testa del Dio. Non complichiamo il problema, con la pretesa che la federazione attenda a troppe cose; a tutte quelle cose che gli uomini i quali guardano all’avvenire e traggono il quadro dell’avvenire dallo studio delle esperienze passate, vorrebbero attribuirle. Nessuno sa che cosa l’avvenire contiene nel proprio grembo. Se gli uomini vorranno, la federazione europea crescerà, come sono cresciuti gli Stati Uniti e la Confederazione svizzera, aggiungendo compiti a compiti, sovratutto inventando compiti nuovi ai quali stati e cantoni non avevano mai pensato. Oggi la federazione europea è una realtà vivente perché la pensiamo in termini di difesa e di indipendenza. Essa nasce dalla necessità fatale di un esercito comune. Ma un esercito comune non vive campato in aria; né vive con mezzi concessi, “contributi”, assegnati da enti estranei al nuovo stato che si è creato, formando l’esercito comune, e formandolo in ubbidienza ad una premessa ideale, senza di cui esso non avrebbe ragion d’essere. Esercito comune e finanza comune sono due termini inscindibili. Per un anno, per un tempo limitatissimo l’esercito comune potrà essere mantenuto con contributi versati dai suoi componenti, dall’Italia, dalla Francia, dalla Germania, dall’Olanda, dal Belgio, dal Lussemburgo. Ma il sistema dei contributi non può durare. Con quel sistema non esiste in verità nulla di comune. Esistono pezzi di eserciti separati tenuti insieme dai quadri; pezzi che tornano a separarsi non appena gli stati singoli cessino di versare i contributi. L’esercito europeo suppone una finanza europea. Se la esperienza passata vale qualcosa, essa ci dice che le federazioni hanno cominciato a vivere grazie alla rinuncia, da parte degli stati singoli, ai dazi doganali ed alle corrispondenti imposte di fabbricazione (sui tabacchi, sugli spiriti, sullo zucchero, ecc.). Gli uomini, unendosi in federazione e volendo dare a questa i mezzi per mantenere l’esercito comune, hanno visto l’assurdità di conservare, fra stato e stato, barriere doganali, di impedire il libero commercio fra i diversi stati oramai uniti da vincoli comuni. La Confederazione germanica del nord – da cui nacque l’ex impero tedesco – fu contemporanea alla Lega doganale (Zollverein). La Svizzera, diventando nel 1848 una federazione, al posto della vecchia lega di cantoni pienamente sovrani, creò una unica linea doganale; e così fecero gli Stati Uniti, passando nel 1787 dalla impotente discorde lega del 1776 all’attuale forma federativa. L’audacia dei grandi uomini di stato i quali, distruggendo le antiche frontiere fra stato e stato, consentirono al nuovo superstato di avere una propria vita indipendente, fu coronato da un grandioso successo di prosperità economica. La fonte del potere tra popolo e stati La fonte del potere comune è unicamente il popolo. Il popolo visto con due facce. In primo luogo, il popolo di tutta la federazione, il quale elegge, a suffragio universale e diretto, ed oggi a suffragio di uomini e donne, una camera di rappresentanti o deputati. Ma se l’atto federativo prevedesse solo una camera, nessuna federazione mai si potrebbe costiOggi gli europei sentono, con angoscia crescente, di non potere difendersi da soli. E si convincono della necessità di mettere in comune i propri mezzi di uomini e di armi
14 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 tuire. Chi potrebbe impedire al popolo sovrano di eleggere una maggioranza di deputati disposto ad attribuire all’ente federale altri compiti, diversi da quelli stabiliti nell’atto costitutivo federale? Chi vieterebbe alla camera di spogliare a poco a poco gli stati componenti di pressoché tutti i loro compiti, riducendoli alla condizione di enti locali subordinati all’autorità centrale? Nessuno stato perciò, finché sia in tempo, sottoscrive al suo suicidio; e nessuna federazione perciò può essere costituita sulla base di una camera unica avente pieni poteri. Di qui le garanzie, poste dappertutto, contro le usurpazioni dello stato federale. Questo avrà solo le funzioni espressamente attribuite ad esso nella costituzione federale; tutti gli altri compiti, vecchi e nuovi, rimanendo riservati agli stati componenti; né la costituzione potrà essere mutata se non osservando condizioni molteplici, assai difficili ad attuarsi. Accanto alla camera dei rappresentanti di tutti gli elettori della federazione, emanazione della maggioranza degli elettori, dovunque essi vivano e di qualunque stato siano cittadini, deve perciò essere costituita una camera degli stati. Elettiva anche questa, a suffragio universale e diretto, di uomini e donne. Ma gli elettori non votano in confuso; bensì raggruppati per stati; ed ogni stato nomina, sia esso grosso o piccolo, un ugual numero di rappresentanti. Il cantone più piccolo della Svizzera, con quindicimila abitanti nomina due deputati alla camera degli stati, come il cantone più grosso, quello di Zurigo, con settecentomila abitanti. Negli Stati Uniti, il Nevada quasi deserto di abitanti elegge due senatori al pari dello stato-impero di New York. Il dottrinario, ubbidiente al dogma della sovranità popolare, potrà non trovare di suo gusto il sistema; ma sta di fatto che le federazioni non si sono potute costituire se non dando ai piccoli una difesa contro il prepotere dei grandi stati. Sopra al potere legislativo deve stare un potere esecutivo. Forse per l’Europa federale non sarà agevole seguire il sistema americano di un presidente, nominato dal popolo, con poteri grandissimi. Specie in un primo momento e forse per lunghi anni, un presidente europeo sarebbe guardato con gelosie e sospetto dai re e presidenti dei singoli stati e sovratutto dai loro popoli. Il sistema svizzero di un consiglio federale di sette o nove membri, eletti dalle camere riunite, può parere meglio accettabile. Nessuno dei consiglieri, di cui uno a turno fungerebbe da presidente, sarebbe un pezzo tanto grosso da eccitare problemi di precedenza con i re ed i presidenti dei singoli stati. Alla lunga, il consiglio federale nel suo insieme diventerebbe un pezzo grossissimo e metterebbe un po’ in ombra i capi di stato e di governo attuali; ma alle cose che vengono da sé ed alla lunga ci si adatta più facilmente che non a quelle che vogliono imporsi d’un colpo. La federazione europea, per il solo fatto di essere meglio atta a difendersi dei singoli piccoAccanto alla camera dei rappresentanti di tutti gli elettori della federazione, emanazione della maggioranza degli elettori, dovunque essi vivano e di qualunque stato siano cittadini, deve perciò essere costituita una camera degli stati. Elettiva anche questa, a suffragio universale e diretto, di uomini e donne
15 Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 PRIMO PIANO li stati che la compongono, è garanzia di pace … Federazione vuol dire rinuncia al diritto di guerra fra gli stati federati. Con l’esercito comune manca ai singoli stati lo strumento per condurre tra di loro la guerra. In uno stato federale, guerra interna equivale a sedizione, che l’esercito comune deve reprimere. È questo il grande progresso che l’idea della federazione fa compiere alla realtà della pace: la guerra è impensabile in una federazione…La guerra si abolisce sostituendo al dominio della forza l’impero della giustizia. Le vendette (guerre) private furono abolite quando al pugno del forte si sostituì la sentenza del magistrato; le guerre fra Pisa e Firenze, Genova e Venezia furono tolte di mezzo quando si costituì lo stato unitario e questo ebbe tribunali incaricati di risolvere le controversie fra i cittadini di città prima sovrane. Le guerre fra Italia e Francia, tra Germania e Francia diverranno impossibili, quando saranno istituiti tribunali federali incaricati di risolvere le questioni fra cittadini appartenenti a stati diversi e fra i medesimi stati componenti la federazione. Nell’interno di ogni stato continueranno a sussistere ed a giudicare i tribunali statali; ma per le questioni interstatali o relative a più di un territorio statale, decideranno i tribunali federali; e le loro sentenze saranno ubbidite, perché lo stato federale disporrà della forza dell’esercito comune e potrà, in prosieguo di tempo, disporre di una polizia giudiziaria federale. La federazione potrà avere altri compiti? Certamente, col tempo. Nata con l’esercito comune, la federazione europea dovrà subito necessariamente avere un sistema d’imposte suo proprio, sufficiente a coprire il carico della spesa comune. Dopo, si vedrà. Estratto da L. Einaudi, “Lo scrittorio del Presidente (1948-1955)”, Einaudi Foto rarrarorro © 123RF.com
16 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 Intervista a Francesco GIAVAZZI di Paolo Mazzanti Francesco Giavazzi L’URGENZA del debito comune ante e complesse sono le sfide che attendono l’Unione europea nei prossimi anni. Per questo motivo le elezioni del prossimo giugno rappresentano un momento cruciale, in quanto dalla nuova composizione del Parlamento dipenderanno scelte decisive per il futuro del Vecchio Continente. Ne abbiamo parlato con Francesco Giavazzi, professore ordinario di Economia politica presso l’Università Bocconi di Milano e già collaboratore del presidente del Consiglio Mario Draghi negli anni 2021 e 2022. Professore, lei ha auspicato per la Ue un “momento Hamilton” ricordando il ministro del Tesoro dei neonati Stati Uniti, il quale convinse i primi 13 Stati federati ad adottare, dopo la banca centrale, anche un debito comune. Perché sarebbe utile per l’Unione europea? Nel 1790 Hamilton comprese che per le colonie americane che volevano unirsi occorreva un salto di qualità, un bilancio e un debito comune. Allo stesso modo, oggi l’Europa deve realizzare un salto di qualità, deve affrontare impegni che senza debito comune sarebbero impossibili. Il primo impegno è la difesa comune, non tanto e non solo per le posizioni di Trump, ma perché dai tempi di Obama gli Stati Uniti prestano più attenzione all’Oriente, al Pacifico, al confronto con la Cina e a Taiwan, rispetto all’Europa. Da noi molti vivono nell’illusione che si possa andare avanti come negli ultimi 70 anni, che l’ombrello difensivo americano non verrà mai meno, ma temo che si sbaglino. In ogni caso, è indispensabile un maggiore coordinamento europeo nella difesa, sia sul campo che negli acquisti. Oggi ogni stato membro compra quel che vuole e dove vuole, acquistando sistemi spesso incompatibili e inefficienti. Ci vuole un unico acquirente europeo di sistemi di difesa compatibili e interoperabili. Questo è molto costoso. Ci ha provato la Germania, che aveva stanziato 100 miliardi di euro, ma con fondi fuori bilancio che sono stati bocciati dalla Corte Suprema. Così anche il programma tedesco ha subito un blocco. La Ue, invece, ha grandi capacità di indebitamento: lo abbiamo visto con il Next Generation Eu, che dopo il Covid-19 ha stanziato senza problemi 750 miliardi di euro per i Pnrr nazionali. Poi se pensiamo che Putin sia una brava persona e non invaderà mai l’Estonia, possiamo continuare ad andare a dormire tranquilli… Quali sono le altre esigenze che richiederebbero debito comune? Il secondo impegno è quello della transizione verde, che oggi pare un po’ attenuato ma prima o poi andrà realizzato e richiederà una montagna di soldi. Non tanto e non solo per la riconversione dell’apparato produttivo, ma soprattutto per la riallocazione e la formazione del T
17 Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 PRIMO PIANO lavoro. Si stima, per esempio, che il 50% dei lavoratori della Motor Valley che dall’Emilia sale fino a Milano operino nella sub-fornitura per i motori termici delle case automobilistiche tedesche. Il superamento dei motori termici richiederà un enorme impegno di riqualificazione di questi lavoratori. Sarà difficile per i singoli paesi affrontare i costi di questa transizione del lavoro senza il ricorso al debito comune. Non abbiamo anche un problema di coordinamento del settore energetico? Anche qui sembra che ogni paese vada per conto suo. Noi produciamo energia elettrica col gas e con le rinnovabili e ripensiamo al nucleare; la Germania ha detto no al nucleare; la Francia va a nucleare e la Spagna ha puntato sui rigassificatori. Nell’energia il “game changer” sarà la tecnologia del nucleare a fusione, il nucleare pulito, che non è molto lontano. In California ci sono già aziende energetiche private che hanno raggiunto una produzione netta positiva di energia elettrica da fusione. Il presidente Prodi sostiene che per arrivare a una difesa europea occorre convincere la Francia a mettere in comune le sue bombe atomiche e il seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ci riusciremo? Certo sono problemi complessi di politica internazionale. Ma il punto fondamentale è capire se l’indebolirsi dell’impegno americano e la nuova aggressività russa ci fanno paura o no. Se non scatta la molla della paura, non accadrà nulla. Lei ha ricordato che Hamilton convinse gli Stati del sud meno indebitati ad accettare il debito comune in cambio del trasferimento della capitale da New York a Washington. Che cosa bisognerebbe concedere oggi agli stati europei “frugali” per accettare il debito comune? Alcuni paesi frugali come la Finlandia che hanno un lungo confine con la Russia e sono appena entrati nella Nato dovrebbero essere molto interessati alla difesa comune. Altri, come la Germania, dove i verdi sono molto influenti, capiranno che senza il debito comune non riusciranno ad affrontare i problemi sociali posti dalla transizione verde. Quali saranno le prime decisioni che il nuovo Parlamento europeo e la nuova Commissione dovranno prendere per aprire la nuova fase? Credo che si dovrà continuare ad agire pragmaticamente, affrontando i problemi a mano a mano che si presentano, come abbiamo fatto col Covid-19, con l’acquisto comune dei vaccini e col Next Generation Eu. Il punto fondamentale è capire se l’indebolirsi dell’impegno americano e la nuova aggressività russa ci fanno paura o no. Se non scatta la molla della paura, non accadrà nulla Foto Mike Mareen © Shutterstock
18 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 Penso che il primo problema da affrontare sarà quello della difesa comune: sarà necessario varare un nuovo Ngeu per la difesa. Poi sarà la volta della transizione verde. Solo così, affrontando i problemi che si presentano volta per volta, l’Europa potrà fare passi avanti C’è chi sostiene che il vero ostacolo al debito comune Ue sia il nostro enorme debito pubblico, che i paesi “frugali” temono di dover ripagare. Che cosa dovremmo fare noi italiani per rassicurarli? Oggi la nostra priorità è convincere i partner europei che siamo in grado di spendere bene i 194 miliardi di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e di fare le riforme necessarie per aumentare la nostra crescita potenziale. Io sono abbastanza ottimista e penso che alcune cose importanti stiano accadendo. Sto per esempio studiando la riforma della giustizia, che è una delle riforme fondamentali del Pnrr. Ebbene, sui tempi dei processi stiamo facendo progressi importanti: in due anni si sono ridotti del 50% e al 2026 mancano altri due anni. Lei aveva elogiato la proposta di nuovo Patto di stabilità proposto dalla Commissione perché superava i parametri fissi pro-ciclici di riduzione di deficit e debito, che però sono stati parzialmente reintrodotti su richiesta della Germania. A questo punto funzionerà il nuovo Patto? La proposta di nuovo Patto della Commissione del novembre scorso era un sogno. Poi il compromesso con la Germania ha peggiorato le cose, con la reintroduzione di una serie di parametri fissi, ma il nuovo Patto è comunque migliore del precedente ed è importante che al Consiglio europeo sia passato all’unanimità. Ora sarà importante vedere come si costruiranno i piani di rientro dal deficit e debito dei diversi paesi. L’importante è comprendere che non ha senso legarsi a parametri rigidi per paesi come i nostri, che sono molto diversi l’uno dall’altro. Occorre stabilire per ciascun quale sia il livello di debito sostenibile di fronte a eventi economici estremi. Questo è, del resto, il metodo che utilizza il Fondo monetario internazionale. Lei ha anche sostenuto l’opportunità di dare vita a un’agenzia europea del debito per liberare la Bce dei titoli dei vari Stati acquistati negli ultimi anni. Basterebbe trasferire i titoli pubblici detenuti dalla Bce all’Esm, l’European Stability Mechanism, che si trasformerebbe in Agenzia del debito e potrebbe pagarli emettendo debito comune. Poi ovviamente ogni paese dovrebbe pagare gli interessi sui suoi titoli, che a quel punto saranno stati trasferiti all’Esm. Il vantaggio sarebbe quello di liberare la Bce da un onere improprio. A suo giudizio che cosa dovrebbero chiedere le imprese europee e italiane al prossimo Europarlamento e alla prossima Commissione per tutelare la competitività europea nei confronti di Stati Uniti e Cina? Occorre trovare un punto di equilibrio intermedio tra l’Inflation reduction act (Ira) di Biden, che sta inondando di dollari il sistema produttivo americano, e l’eccesso di regolazione europea della commissaria Vestager. Per ora abbiamo allentato i vincoli agli aiuti di Stato per i singoli paesi, ma questo rischia di avvantaggiare le imprese dei paesi che hanno più spazio fiscale rispetto a quelle che ne hanno meno, tra cui l’Italia. E anche qui sarebbe necessario il debito comune per finanziare massicci programmi europei di ricerca e innovazione a vantaggio di tutte le imprese europee. Oggi la nostra priorità è convincere i partner europei che siamo in grado di spendere bene i 194 miliardi di euro del Pnrr e di fare le riforme necessarie per aumentare la nostra crescita potenziale Foto Xavier Lejeune Photo © Shutterstock
19 Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 PRIMO PIANO Di fronte ai rischi geopolitici e alle incertezze economiche, la Ue deve considerare la competitività come una priorità della nuova fase della politica europea A colloquio con Fredrik PERSSON di Paolo Mazzanti ffiancare al Green Deal un Industrial Deal perché solo con aziende più competitive si riuscirà a realizzare la transizione ecologica. È questo il fil rouge che emerge dal confronto con il presidente di BusinessEurope, lo svedese Fredrik Persson. Con lui abbiamo fatto il punto sulle principali questioni industriali ed economiche con cui si misureranno il prossimo Parlamento e la futura Commissione. Tra questi, ad esempio, il problema dell’approvvigionamento energetico, con l’obiettivo di ridurre il differenziale che il continente paga, dopo il periodo pre-Covid-19, rispetto agli Stati Uniti. Ma procediamo con ordine. Presidente Persson, quali sono le principali richieste di BusinessEurope, che rappresenta le imprese europee, al nuovo Parlamento europeo e alla futura Commissione? BusinessEurope ha lanciato recentemente la sua iniziativa per un cambiamento delle politiche europee nella nuova legislatura Ue con lo slogan “Reboot Europe” (“Rimettere in moto l’Europa”, ndr). Di fronte ai rischi geopolitici e alle incertezze economiche, la Ue deve considerare la competitività come una priorità della nuova fase della politica europea. Per raggiungere questo obiettivo la Ue deve ridurre il peso della regolamentazione che grava sulle imprese europee e spingere sull’innovazione, oltre a garantire energia a prezzi competitivi. La Ue deve anche completare la strategia del Mercato Unico per assicurare parità di condizioni alle imprese, rimuovere gli ostacoli al business attraverso le frontiere nazionali in tutti i settori e creare le condizioni per consentire la crescita delle startup europee. Occorre inoltre un’ambiziosa politica commerciale: con il 6% della popolazione mondiale, l’Europa sviluppa il 16,2% del commercio mondiale ed è il primo partner commerciale di 80 paesi del mondo, ma la sua quota di commercio mondiale si sta riducendo. A Fredrik Persson Più competitività e meno burocrazia: CHE COSA CHIEDONO LE IMPRESE
20 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 L’Ue deve anche ridare slancio alle transizioni ambientale e digitale. Per decarbonizzare senza deindustrializzare, il Green Deal deve essere affiancato da un Industrial Deal. E per digitalizzare mantenendo l’uomo al centro, la Ue deve incentivare l’innovazione e lo sviluppo dei talenti e delle competenze. Infine, dobbiamo uscire da un approccio puramente regolatorio delle politiche sociali, promuovendo la mobilità, affrontando la carenza di lavoratori e il mismatch tra domanda e offerta di competenze, favorendo la sussidiarietà e il dialogo sociale in tutta Europa. Quali sono le maggiori sfide competitive globali che il sistema produttivo europeo deve affrontare? BusinessEurope ha pubblicato recentemente il suo Reform Barometer 2024, che misura la competitività globale dell’Europa e valuta le relative riforme. Il risultato principale è il fatto che l’88% delle nostre associazioni imprenditoriali federate ritiene che, dopo il declino significativo tra il 2020 e il 2023, non c’è stato alcun miglioramento nell’attrattività dell’ambiente economico europeo negli ultimi 12 mesi rispetto ai nostri maggiori competitori. Ci sono alcune cause principali per questa preoccupante situazione. In primo luogo, più della metà (54%) dei nostri associati ritiene che il peso della regolamentazione sia aumentato in Europa nel 2023. Questa inflazione burocratica comporta un forte aumento di costi amministrativi per le imprese europee ed è particolarmente dannoso per le Pmi. Nel 2022 le regole relative al Green Deal hanno rappresentato per le imprese un costo amministrativo aggiuntivo di circa 2 miliardi di euro. Nella prossima legislatura, la Ue dovrebbe porsi l’obbiettivo di ridurre almeno del 25% gli obblighi amministrativi per le imprese, mettere al centro dell’agenda la facilitazione delle attività imprenditoriali ed eliminare le contraddizioni e le complessità non necessarie della legislazione europea. Nel 2022 le regole relative al Green Deal hanno rappresentato per le imprese un costo amministrativo aggiuntivo di circa 2 miliardi di euro. Nella prossima legislatura, la Ue dovrebbe porsi l’obiettivo di ridurre almeno del 25% gli obblighi amministrativi e burocratici Foto Xavier jegas © Shutterstock
21 Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 PRIMO PIANO Un’altra sfida importante riguarda il costo dell’energia, che negli ultimi anni è aumentato in Europa molto più che negli Stati Uniti: gli ultimi dati ufficiali mostrano che i costi dell’elettricità e del gas sono tuttora il doppio in Europa rispetto al periodo pre-Covid, mentre negli Stati Uniti i prezzi medi sono aumentati del 30%. Ora la Ue deve superare l’approccio del Mercato europeo dell’elettricità e affrontare con decisione il tema dei differenziali di costo dell’energia tra l’Europa e i suoi maggiori competitori. Come sarà possibile difendere la competitività del continente e allo stesso tempo affrontare il cambiamento climatico? Le imprese europee sostengono fermamente gli obiettivi ambientali della Ue. Ma saremo in grado di raggiungerli solo se l’Europa migliorerà la sua competitività. Per questo, per far sì che il Green Deal diventi una strategia di crescita dobbiamo affiancargli un Industrial Deal. E ora, dopo aver approvato un gran numero di regole all’interno del Green Deal, dobbiamo puntare sull’attuazione e sulla semplificazione, a cominciare dall’aumento delle fonti energetiche a basso tasso di carbonio, in un quadro di neutralità tecnologica, sia di produzione interna che d’importazione. E dobbiamo anche adeguare le misure di protezione contro la “concorrenza carbonica” dei paesi meno regolati, nel momento in cui si sta ampliando il differenziale di prezzo causato dalla crisi energetica. Come ho già detto, i prezzi europei di elettricità e gas da noi sono il doppio del periodo pre-Covid, mentre negli Stati Uniti i prezzi medi sono aumentati del 30%. Senza affrontare questo differenziale di prezzo non riusciremo a raggiungere gli obiettivi ambientali proteggendo al contempo la competitività dell’Europa. Pensa che sarà necessario aumentare il debito comune europeo per finanziare gli investimenti europei in difesa, digitale, infrastrutture e welfare, sull’esempio di Sure? Finanziare questi investimenti comuni metterà pressione sul bilancio europeo. Dobbiamo quindi fare sì che il bilancio europeo raggiunga la dimensione adeguata a sostenere le sfide comuni, ma non tale da appesantire con un carico fiscale eccessivo le imprese e le famiglie. La chiave dovrebbero essere gli investimenti in competitività per aumentare il tasso di crescita potenziale di lungo termine dell’Europa, il che consentirà l’aumento del bilancio europeo senza aggravare la pressione fiscale di cui parlavo. Allo stesso tempo si dovrà migliorare l’efficienza della spesa europea, anche con l’uso di strumenti innovativi come il Programma InvestEu, che utilizza fondi e garanzie europee per promuovere investimenti privati aggiuntivi. In questo quadro siamo del tutto favorevoli al nuovo Patto di stabilità e crescita, che incoraggia gli Stati membri a varare riforme favorevoli alla crescita e agli investimenti pubblici all’interno di un percorso di aggiustamento fiscale pluriennale. Le riforme strutturali possono migliorare ulteriormente gli effetti degli investimenti pubblici finanziati dall’Europa. Le nuove regole dovranno essere attuate con flessibilità, a patto che gli Stati membri attuino riforme credibili e programmi d’investimento in grado di favorire la crescita sostenibile e la sostenibilità del debito. Che cosa suggerirebbe al governo e alle imprese italiane per aumentare la propria influenza in Europa? L’Italia, Stato fondatore e uno dei maggiori paesi dell’Ue, ha una presenza e un’influenza molto forti nella vita politica europea. Le imprese italiane hanno una forte presenza a Bruxelles: il nostro associato Confindustria è stata una delle prime associazioni ad aprire una propria Delegazione presso la Ue sin dal 1959. Oltre a rappresentare gli interessi delle imprese italiane alle istituzioni comunitarie, Confindustria è anche molto attiva all’interno di BusinessEurope e partecipa alla definizione delle nostre posizioni sui principali temi europei. Suggerirei alle nostre imprese di mantenere stretti contatti con i parlamentari europei sui temi rilevanti per le imprese italiane e dunque europee. Ciò sarà particolarmente importante nei confronti dei nuovi europarlamentari che arriveranno a Bruxelles. E ovviamente spero che gli imprenditori italiani useranno al meglio i loro voti nelle imminenti elezioni europee. Dobbiamo fare sì che il bilancio europeo raggiunga la dimensione adeguata a sostenere le sfide comuni, ma non tale da appesantire con un carico fiscale eccessivo le imprese e le famiglie
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