Civiltà del Lavoro, n. 2/2024

10 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 EUROPA FEDERALE, un passo alla volta F ederazione e confederazione: le due parole paiono uguali e, volendo, possono essere intese nel medesimo significato; ma è bene, per non cadere in equivoci grossolani, chiarire subito la sostanziale differenza. È vero che la “Confederazione della Germania del nord” era una mezza federazione perché gli stati confederati avevano rinunciato alla sovranità doganale. E quella svizzera si dice “confederazione” sebbene sia una federazione intera, disponendo di un sistema doganale unico, di imposte proprie sul patrimonio e sul reddito, di un unico sistema monetario, di un esercito comune, del diritto esclusivo di rappresentanza all’estero, di poste, telegrafi e ferrovie federali e di molte altre funzioni a poco a poco ad essa attribuite dalle successive variazioni arrecate alla Costituzione del 1848. Gli Stati Uniti d’America, che pur sono, con la Svizzera, il più compiuto tipo di federalismo, non si proclamano, nel loro titolo, né federali né confederali; ma sono “federali” i loro organi supremi: il presidente, il congresso, la corte suprema, l’esercito. C’è dunque una certa confusione e rilassatezza nell’uso del vocabolario, sicché, per esser chiari, si potrebbe dir così: si professano fautori di una “confederazione” coloro i quali non vogliono niente, né federarsi, né confederarsi. Costoro vogliono che gli stati a cui appartengono restino pienamente sovrani, così come sono stati sinora. Consentono a mandare rappresentanti attorno ad un tavolo verde, posto a Ginevra (Società delle nazioni), o a New York (Nazioni Unite), o a Parigi (comunità varie europee) dove siedono i rappresentanti degli stati aderenti. Se i rappresentanti si mettono d’accordo, per le questioni minori a maggioranza, semplice o qualificata, e per le questioni maggiori ad unanimità, qualcosa pare si concluda; ma è poco o nulla. Le deliberazioni devono ancora essere “ratificate” dai singoli stati, i quali hanno conservato la loro piena sovranità; e possono ratificare o non ratificare o traccheggiare senza dir nulla. Dopo che hanno ratificato, gli stati possono tirar per le lunghe col discutere i criteri per la ripartizione delle spese conseguenti alla decisione presa; e, dopo discusso, col tardare a pagare. La confederazione, priva di mezzi propri, è in balia degli stati che la compongono. È pressappoco qualcosa come una alleanza, che può sempre essere disfatta da alleati tiepidi, assenti o traditori. Anche se nel titolo c’è scritto nazioni unite, o società delle nazioni, non si tratta mai di una unione di nazioni, ma di una unione o società od alleanza di stati, gli uni uguali agli altri e pienamente sovrani. Va da sé invece che una “federazione” è una cosa seria. La potremmo anche intitolare “confederazione” se così piacesse e così è piaciuto agli svizzeri, per ragionevole ossequio ad antiche tradizioni del loro vocabolario politico. Quel che importa non sono le parole; importa la sostanza. Federazione vera non esiste se gli stati che si uniscono non rinunciano ad una parte della loro sovranità, trasferendola al nuovo ente federale. Possono rinunciare a poca od a molta parte della loro sovranità. Nel 150° anniversario della nascita (24 marzo 1874) ricordiamo Luigi Einaudi, secondo Presidente della Repubblica – dopo il Capo dello Stato provvisorio Enrico de Nicola – e primo eletto secondo la nuova Costituzione repubblicana, con questo suo scritto del giugno 1952. I 150 ANNI DALLA NASCITA DI LUIGI EINAUDI

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