Civiltà del Lavoro, n. 2/2024

PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 12 Del pari, esistono unioni internazionali postali, unioni per la tutela della proprietà industriale, dei marchi di fabbrica, della proprietà letteraria. Gli stati aderenti in queste materie specifiche non possono più fare quel che vogliono, ma devono osservare certe regole comuni. Le unioni di questa fatta sono amministrate da tecnici, che il grande pubblico non conosce, ed attendono al loro mestiere tranquillamente e con vantaggio di tutti. Giornali e parlamenti non si interessano dei modi in cui si regolano i conti tra le diverse amministrazioni postali o ferroviarie; cosicché, sebbene le unioni diminuiscano la assoluta piena sovranità dei governi e dei parlamenti, nessuno si accorge diminutio capiti. Vista la buona esperienza di un certo numero di unioni internazionali tecniche, taluno pensò: perché non fare un passo innanzi ed estendere il principio federativo un po’ per volta ad altre materie? E così venne fuori il fondo monetario internazionale; e sta attuandosi l’unione europea del carbone e dell’acciaio e, più grossa di tutte, si potrà attuare la Comunità europea della difesa. Non bisogna dir male di sforzi che sono certo prova di buona volontà. Ad una condizione: che quegli sforzi non stiano a sé, ma suppongano ed implichino a scadenza prefissata e breve il passaggio alla federazione politica. L’oggetto delle vecchie unioni internazionali – Croce Rossa, proprietà industriale o letteraria, poste – era tecnico, non attinente ai compiti fondamentali dello stato; e l’oggetto spesso si alimentava da sé (tasse sui brevetti, sui marchi, ecc.) o richiedeva contributi minimi agli stati federati. Le nuove unioni sono una faccenda ben diversa: costano assai ed entrano nel vivo della vita di ogni nazione … La necessità di stare uniti Chi invece sia convinto che gli stati dell’Europa occidentale hanno interesse, anzi necessità di stare uniti per difendere i propri ideali civili, la libertà di pensare, di scrivere, di predicare e di credere, e, con essi, la propria esistenza medesima, è contrario alle mere alleanze provvisorie, comunque mascherate con denominazioni verbalmente federalistiche. Le Comunità del carbone e dell’acciaio, quella degli accordi verdi e sovratutto quella della difesa, sono accettabili provvisoriamente solo come mezzo per attuare il concetto più vasto della federazione politica. È un grossolano errore dire che si comincia dal più facile aspetto economico per passare poi al più difficile risultato politico. È vero il contrario. Bisogna cominciare dal politico, se si vuole l’economico. È vero che un unico mercato economico dell’Europa occidentale sarebbe un incommensurabile vantaggio per tutti. Gli stati europei odierni sono, economicamente, dei pigmei. Il loro territorio è troppo piccolo perché in essi si affermi una vera divisione del lavoro. Ieri un mercato di dieci milioni di consumatori pareva bastevole a consentire la vita ad imprese industriali aventi la dimensione economica più adatta a raggiungere i costi minimi ed a reggere alla concorrenza estera. Oggi, non bastano più, almeno in non pochi casi, i 50 milioni e fa d’uopo arrivare ai 100. Un tale cercava di dimostrare la possibilità di vendere ogni anno centomila vetture automobili di un dato tipo invece delle diecimila messe in programma dal produttore. Sarebbe stato necessario ridurre il prezzo alla metà. Ovvia fu la risposta: i costi si sarebbero, si, abbassati alquanto con una produzione di centomila unità; ma non abbastanza per reggere alla concorrenza dei paesi dove può concepirsi un impianto adatto a produrre da mezzo a un milione di unità. Dove il mercato interno non consente di assorbire numeri così alti, la scelta è: lasciar morire l’industria automobilistica, ovvero limitare o vietare l’entrata al prodotto straniero e consentire di vendere sul mercato interno a prezzi remunerativi, siffatti da compensare anche la perdita subita nel vendere il sovrappiù all’estero a prezzi rotti. Poiché la prima soluzione non è politicamente possibile, la via d’uscita dal dilemma è solo l’allargamento del mercato. La federazione europea è il solo mezzo per salvare le industrie sane, capaci di progresso ed oggi arrivate dinnanzi al muro insormontabile di un mercato troppo piccolo. Ma all’allargamento del mercato non si arriva senza dolore. Se il problema è posto dal mero punto di vista economico, l’opposizione di coloro che preferiscono conservare il monopolio del piccolo mercato attuale piuttosto che affrontare l’incognita dell’adattamento al grande mercato federale sarà sempre potentissima. Il veto del produttore nazionale prevarrà sull’interesse generale, quando il produttore nazionale possa ricorrere ai sentimenti diffusi che consigliano la resistenza contro l’invasione straniera … La federazione europea è il solo mezzo per salvare le industrie sane, capaci di progresso ed oggi arrivate dinnanzi al muro insormontabile di un mercato troppo piccolo

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