Civiltà del Lavoro, n. 2/2024

25 Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 PRIMO PIANO patto ambientale, hanno fortemente compromesso intere filiere industriali, da quelle di base all’automotive, dall’agrolimentare al packaging e al farmaceutico, dalla chimica al tessile, senza dimenticare la tassonomia e l’energia. La quantità di iper-regolazione e la contraddittorietà ed erraticità delle legislazioni europee hanno creato un clima di incertezza che ha sempre più paralizzato, se non addirittura disincentivato, gli investimenti produttivi. Nel frattempo, le altre grandi potenze economiche del pianeta, hanno portato avanti una forte politica di rafforzamento del loro tessuto industriale e della loro competitività. In particolare, oggi, assistiamo ad una guerra economica, a cui noi europei siamo esposti in maniera significativa e rispetto alla quale dobbiamo saperci immediatamente attrezzare, recuperando una nuova strategia di sviluppo industriale e competitivo. Naturalmente, facendo leva su industrie di qualità, sostenibili e innovative, come sappiamo di poter fare. Si tratta di uno scenario che ha messo in evidenza di recente anche Mario Draghi in occasione della Conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali, sottolineando come negli ultimi anni le altre grandi potenze economiche del pianeta abbiano portato avanti una forte politica di rafforzamento del loro tessuto industriale e della loro competitività, spesso attraverso politiche tese a renderci strutturalmente dipendenti da loro. Tutto ciò indebolisce il nostro tessuto economico e sociale e, in particolare, indebolisce i ceti medi. La storia ci insegna che quando il ceto medio viene a soffrire o viene compresso, e purtroppo questo è quanto sta accadendo in tutte le democrazie occidentali negli ultimi anni, nascono poi intolleranze, razzismi, sentimenti che hanno proiettato nel secolo scorso ombre terribili e che noi dobbiamo saper combattere, saper contrastare, riaffermando i valori e le opportunità della nostra civiltà e della nostra storia. CAMBIARE PASSO PER UN’EUROPA DIVERSA È per contrastare questi rischi e le derive del regresso e dei populismi che, come dicevo, abbiamo bisogno di Europa. Ne abbiamo bisogno oggi più che mai. Abbiamo bisogno però di un’Europa, come sottolineavo, diversa. Meno autoreferenziale. Ne abbiamo bisogno per garantire la pace, ne abbiamo bisogno per governare la sostenibilità del pianeta, ne abbiamo bisogno soprattutto per garantire quel benessere, quella difesa delle conquiste sociali che sono un patrimonio della nostra storia e della nostra civiltà e che sono anche indispensabili perché la stabilità e l’equità sociale. L’Europa concepita dai padri fondatori, nell’era post-bellica, prometteva sicurezza, crescita e prosperità, ma queste promesse si ancoravano principalmente al potenziamento dell’economia e dell’industria, vitali per il benessere e la coesione sociale di popolazioni che avevano subito le atrocità della guerra. Il visionario progetto di Jacques Delors nel 1992 proponeva la creazione di un vasto mercato unico come strumento principale per assicurare libertà, crescita e stabilità. Tuttavia, questo periodo di costruzione si è trovato a naufragare con l’ampliamento dell’Europa nel 2004, un processo affrettato e carente in termini di governance decisionale. Altrettanto critico, se non di più, è stato il fallimento del progetto di una Costituzione europea, e in particolare la difficoltà nel condividere i valori e gli ideali fondamentali che formano la nostra identità europea. Mai come ora abbiamo bisogno di più Europa, ma di un’Europa più unita nei suoi valori, più competitiva dal punto di vista economico, più forte dal punto di vista istituzionale e quindi più rilevante dal punto di vista politico. Per questo le prossime elezioni europee sono le più importanti della nostra storia. Oggi l’Europa è al bivio, o siamo pronti a ricostruirla o rischiamo l’implosione. Antonio D'Amato è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2005. È presidente del Gruppo Seda, azienda di famiglia fondata nel 1964, leader mondiale nel settore del packaging per alimenti. Oggi il gruppo Seda conta 13 stabilimenti e produce in Italia, Germania, UK, Portogallo e Stati Uniti. Ha oltre 3.500 dipendenti e tra i suoi clienti annovera i più grandi marchi dell’industria alimentare del mondo. Il 50% del fatturato è prodotto in Italia e, di questo, il 70% è esportato all’estero Abbiamo bisogno di più Europa, ma di un’Europa diversa: meno autoreferenziale. Ne abbiamo bisogno per garantire la pace e governare la sostenibilità del pianeta

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