Civiltà del Lavoro, n. 2/2024

46 FOCUS Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 ia in Italia che nel resto del mondo si torna a parlare di Università. Viviamo tempi difficili, che evidentemente impongono una riflessione sui processi di formazione della gioventù. Spesso, il discorso sull’Università è in negativo, insiste cioè sui difetti dell’istituzione più che proporre una via promettente da percorrere. Non è detto, però, che le critiche non possano suggerire indirettamente delle proposte. Il punto centrale che accomuna nel seguito critiche diverse tra loro è costituito dal ritenere che l’alta formazione dovrebbe essere basata sul merito scientifico e il rigore culturale, e che questi debbano contribuire alla formazione di un pensiero critico, mentre invece spesso così non è. In particolare, le critiche che prenderemo in considerazione, di fondo, pongono la questione dell’autonomia della sfera accademica, e delle storture che tendono a prodursi quando questa autonomia viene compressa da logiche e metodi che provengono da altri ambiti. TROPPA IDEOLOGIA CANCELLA IL MERITO Partiamo quindi dagli argomenti critici sull’Università. Il primo lo possiamo trovare in un intervento di un famoso storico, Niall Ferguson, intervento dedicato al tradimento degli intellettuali. Questo tradimento è quello che ha dato la stura alla “cancel culture” e agli atteggiamenti “woke” nelle maggiori Università degli Stati Uniti. Come sappiamo, questi sono cultura e atteggiamenti anti-Occidentali, in nome dell’antirazzismo, dell’antisessismo, dell’anticolonialismo e via di seguito. L’aspetto apparentemente peggiore del wokismo in questione è costituito dalla sua indole censoria. Tutto ciò contribuisce a creare un clima di intimidazione e timore che di certo non favorisce la vita accademica. Ma – sostiene Ferguson – c’è molto di più da stigmatizzare. Il vero tradimento degli intellettuali, ai suoi occhi, consiste nel fatto di sostituire il merito scientifico con altri criteri – come quelli legati a genere, razza e sostanzialmente identità – nella selezione del personale accademico (i professori) e nel contenuto didattico. Proprio quegli intellettuali che dovrebbero avere più caro di tutti il valore e il significato del sapere finiscono così con civettare con criteri diversi. Con la conseguenza di peggiorare la qualità dell’offerta formativa, del corpo docente, del materiale didattico e alla fine degli studenti. Ma la vis polemica di Ferguson non si arresta qui. Perché, sempre a parer suo, la tendenza attuale è foriera di conseguenze politiche potenzialmente disastrose. Cancel culture e atteggiamenti woke, con i loro effetti politici, somiglierebbero infatti in maniera notevole a quanto successo nelle Università tedesche prima del Nazismo (erano allora le migliori del mondo come probabilmente ora lo sono Harvard, Princeton, Yale di cui parla Ferguson). La critica di Ferguson è rivolta principalmente alle grandi università anglosassoni, ma non è affatto priva di presa sull’università italiana. I recenti episodi di eventi accademici sulla guerra in Medioriente “cancellati” a causa delle proteste, a prescindere da cosa si pensi nel merito sulla questione, ne sono un segno evidente. Anche se il parallelo con la Germania degli anni Trenta appare assai discutibile, tuttavia le osservazioni di Ferguson, nel loro complesso, non sono prive di fondamento. La formazione di una coscienza critica non può avvenire in un clima di censura reale o di auto-censura preventiva S di Pietro e Sebastiano MAFFETTONE UNIVERSITÀ, MERITO e autonomia accademica Foto haiderali886 © 123RF.com

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