Civiltà del Lavoro, n. 2/2024

47 FOCUS Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 Da sinistra Pietro Maffettone, docente di Filosofia Politica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e Sebastiano Maffettone, direttore Osservatorio Ethos LUISS Business School delle idee di professori e studenti. Il rispetto reciproco, la non-violenza, e la massima libertà di espressione sono presupposti indispensabili per il funzionamento di un sistema di formazione terziaria. Nelle università si deve poter pensare liberamente anche a costo di “offendere” le sensibilità di alcuni. Allo stesso tempo va fatto notare che, sempre in ragione della loro natura progettuale, nelle università, l’intervento massivo delle forze dell’ordine per combattere fenomeni di protesta da parte degli studenti ideologicamente impegnati andrebbe fortemente limitato, se non del tutto evitato. Detto altrimenti, la logica della contrapposizione identitaria e sanzionatoria adottata da alcuni e le risposte repressive messe in campo da altri per porvi rimedio costituiscono una politicizzazione delle università nel senso deteriore del termine. In questo modo, società civili sempre più polarizzate trovano un altro luogo dove esprimere le loro divisioni politiche comprimendo di fatto l’autonomia della sfera accademica. UNA DISCUTIBILE BUROCRATIZZAZIONE COMPETITIVA Una seconda critica origina invece dal modo in cui è stata progressivamente interpretata l’idea di accountability pubblica (la capacità de rendere conto) nel contesto universitario. Detto altrimenti, se l’intervento dei pubblici poteri è essenziale per mantenere viva la missione propria delle università, ci si deve certamente interrogare sul modo in cui ciò debba avvenire. Il modello prevalente di accountability pubblica attualmente in voga è ispirato al New Public Management in Higher Education (Npm) di matrice britannica (dai tempi di Mrs. Thatcher). Lo si constata seguendo l’andamento del cosiddetto Bologna Process (dal 1999) e la creazione della European Higher Education Area (Ehea). In entrambi i casi, prevale l’apertura dell’Università alla società civile e al mercato come era stato del resto anticipato dalla Magna Charta Universitatum (1988) e dalla Lisbon Recognition Convention (1997). Questo modello di accountability, come vedremo, pone però dei problemi sia dal punto di vista degli scopi che dei mezzi adoperati (in Italia sono note le critiche degli animatori del sito Roars). In termini generali, NPM tende a ridurre l’autonomia accademica e scientifica delle università – quella tipica dell’approccio di sociologia della cultura alla Merton – e a rendere il mondo universitario più omogeneo a quello di altri settori oggetto di politiche pubbliche come, per esempio, la sanità. Questa riduzione della specificità accademica dovrebbe avvenire attraverso l’introduzione di standard di misura quantitativi e qualitativi omogenei e sempre più indipendenti dalle valutazioni scientifiche dei professori. L’esito consiste nel trasformare un’attività formativa e culturale in un coacervo di misure, attentamente monitorate da esterni. Una conseguenza diretta di questa scelta consiste nella creazione di comitati e strutture – del tipo dell’italiana Anvur (agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) – di solito nominati dallo Stato (tramite il Ministero) con il compito di uniformare e orientare il lavoro delle istituzioni accademiche. Il funzionamento del sistema universitario britannico prima e dopo gli anni 1970, quelli in cui fu introdotto Npm, illustra bene la differenza tra il metodo precedente, basato sull’autonomia universitaria e sul monopolio degli esperti, e quello dopo l’avvento di Npm. Prima degli anni 1970, lo Stato erogava un bilancio pubblico globale che destinava allo Ugc (University Grant Committee), un comitato di professori che distribuiva le risorse in base a criteri scientifici e culturali interni al mondo accademico tradizionalSe l’intervento dei pubblici poteri è essenziale per mantenere viva la missione propria delle università, ci si deve certamente interrogare sul modo in cui ciò debba avvenire

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