Civiltà del Lavoro, n. 2/2024

48 FOCUS Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 mente inteso. Come si potrebbe dire, in questa versione il processo di selezione e finanziamento è tutto endogeno all’universo accademico. Dalla nascita di Npm, invece, lo stato e la politica entrano direttamente nella gestione della vicenda, con l’intenzione di dirigere e influenzare la ricerca e la didattica delle Università. Il sospetto viene gettato sui professori, e il sistema dell’alta formazione diventa più simile a quello degli altri comparti della pubblica amministrazione. In questa ottica, all’Università viene richiesto un supplemento di capacità manageriale e nel complesso un aumento di produttività. Richieste che si accompagnano alla ricerca di forme ulteriori di finanziamenti sul mercato. L’appello alla società civile, così generato, rende più ampio il numero degli stakeholder significativi nei processi di formazione della volontà accademica e meno indipendente il sistema dell’alta formazione nel suo complesso. Da questo punto di vista, due questioni aperte sono evidenti nel sistema accademico. Si tratta, in primo luogo, della controversia che verte sulla natura della Università che oscilla sempre tra una concezione idealistica e culturalistica da una parte e una meramente strumentale (formare lavoratori immediatamente occupabili, rendere soddisfatti gli studenti-clienti, raccogliere fondi privati, ecc.) dall’altra. In secondo luogo, c’è una tensione che caratterizza il modello organizzativo in rapporto alle due concezioni di cui sopra. In questo caso, la tensione è quella tra un modello di gestione amministrativo-burocratico da una parte e un modello basato maggiormente sull’autonomia della ricerca e dell’insegnamento dall’altra. In questa prospettiva, la colpa attribuita al modello NPM è di solito quella di privilegiare eccessivamente la visione strumentale delle istituzioni accademiche, di imporre un primato dell’amministrazione sulla cultura e la ricerca all’interno delle università, e così facendo di costituire un altro importante tassello nella limitazione dell’autonomia accademica. In Italia, così la vita universitaria è costituita – come esperito da ogni professore – da un numero infinito di verbali, monitoraggi e stime, indici, relazioni astruse, linee-guida non si sa a che, ma anche di numerosissime riunioni per formulare fantomatici piani didattici, e cercare di seguire il ritmo bizzarro delle modifiche normative del Ministero, oppure a redigere “Piani strategici”, “Piani di sviluppo”, e simili più o meno incomprensibili documenti destinati a convincere le autorità istituzionali e eventuali sponsor aziendali. In altre parole, la ragionevole richiesta di accountability da parte del pubblico rischia di impedire lo scopo principale dell’Università, che è legato al riconoscimento del merito scientifico e al perseguimento degli obiettivi culturali che gli sono propri. Lo strumento di controllo pubblico, in sostanza, finisce troppo spesso per essere a danno della qualità della docenza e dei programmi di studio, e per conseguenza della formazione dello studente. Il formalismo strumentale – favorito dal modello Npm – collocherebbe il sistema universitario nell’ambito di una burocratizzazione competitiva, ossia di una fusione fra i valori della competizione di mercato e i metodi della pubblica amministrazione. Con il menzionato Anvur che contribui- sce coi suoi controlli non alla qualità della ricerca ma a mettere in competizione gli Atenei e i Dipartimenti tra di loro, il tutto basandosi su criteri quantitativi e/o qualitativi di dubbia utilità che servirebbero a pesare le pubblicazioni (col risultato che nessuno è invitato a leggerle), e a migliorare la qualità dell’offerta formativa, per poter aspirare a quote premiali crescenti (in termini relativi) ma sempre esigue (in termini assoluti) di risorse pubbliche. Questa burocratizzazione competitiva ignora i problemi di fondo dell’Università, come il sottofinanziamento della ricerca (di recente evidenziato dalla Presidente Della Crui Iannantuoni in un’intervista a Repubblica), la percentuale troppo bassa di laureati nel Paese, la questione delle aule e strutture spesso inadeguate se non fatiscenti, la scarsità delle risorse dedicate al diritto allo studio. Ma quello che è peggio in questo modo si sacrifica la cosa più importante, sarebbe a dire la formazione di un autentico pensiero critico. In tutti i casi, sembra impossibile non interpretare alcuni degli eccessi burocratici degli ultimi quindici anni come il risultato di una forte perdita di fiducia nei confronti della serietà della classe docente e ricercatrice. In questa ottica, i professori, alla stregua di molte altre categorie del pubblico impiego, vengono delegittimati come nullafacenti ai quali viene concessa eccessiva libertà. Si aumentano quindi i controlli. Il risultato di questo atteggiamento finisce con l’essere paradossale. Coloro che hanno abusato della loro libertà accademica troveranno certamente un modo di continuare a farlo, mentre coloro che, e sono la maggioranza, l’hanno usata responsabilmente, si sottoL’oggetto principale dell’alta formazione consiste nel mettere il merito scientifico e la capacità culturale al centro del progetto generale

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