Civiltà del Lavoro, n. 2/2024

7 uperiores non reconoscentes”: gli storici fanno risalire a questa definizione uscita dalla Pace di Vestfalia del 1648, che pose fine alla Guerra dei Trent’anni, la nascita degli Stati sovrani moderni che non riconoscevano alcuna autorità, né spirituale né temporale, al di sopra di sé. Oggi, nel nuovo crinale della Storia, di fronte alle sfide geopolitiche delle guerre nel cuore dell’Europa e in Medio Oriente e a quelle economiche della doppia transizione ambientale e digitale, gli Stati europei usciti da Vestfalia debbono decidere se ribadire la propria sovranità “superiores non recognoscens”, oppure accettare di trasferire un’altra parte della propria sovranità all’Europa, proseguendo il cammino avviato nel 1952 con la Comunità del carbone e dell’acciaio (Ceca), proseguito nel 1957 con i Trattati di Roma, che vararono la Comunità europea, e nel 1992 col Trattato di Maastricht, che diede vita all’Unione europea, all’euro e alla Bce. Tutte evoluzioni che hanno garantito ai cittadini europei e in particolare a noi italiani – basta pensare alla fragilità della nostra vecchia lira, esposta alle ricorrenti svalutazioni – una stabilità e una crescita che senza l’Europa sarebbero state assai più difficili. Non è stato un percorso lineare. Ci sono state battute d’arresto e cocenti delusioni, come nel 1953 quando la Francia affossò la Comunità europea di difesa (Ced), e nel 2005, quando ancora la Francia e l’Olanda bocciarono nei referendum nazionali la bozza di Costituzione europea. Ma oggi le urgenze sono forse maggiori di allora e riguardano ancora la difesa integrata e l’aumento del bilancio europeo, attraverso il debito comune già sperimentato dopo la crisi del Covid con il Next generation Eu, che sta finanziando i Pnrr nazionali. Le prossime settimane, con l’insediamento del nuovo Europarlamento e la nomina del nuovo presidente del Consiglio e della nuova Commissione, saranno cruciali per capire se l’Europa proseguirà il percorso verso l’integrazione federale, in cui i singoli Stati membri si privano della sovranità relativa alle materie delegate (come avvenuto con la moneta), superando il criterio dell’unanimità e del diritto di veto ed estendendo il voto a maggioranza nel Consiglio europeo, oppure se l’Unione resterà nel limbo delle forme giuridiche ibride e incompiute, con gli Stati nazionali che resisteranno alla cessione di nuovi poteri e alla fine potrebbero anche riappropriarsi di quelli già delegati, sgretolando l’Unione costruita fin qui. Illuminante e attualissimo, da questo punto di vista, il testo che pubblichiamo di Luigi Einaudi, primo Capo dello Stato eletto con la nuova Costituzione (di cui ricorrono quest’anno i 150 anni dalla nascita), che nel 1952 rifletteva sulle differenze tra integrazione federale e statalismi nazionali e sulla necessità e gli obblighi della difesa comune europea. In due interviste, l’economista Francesco Giavazzi spiega poi perché senza debito comune l’Europa non riuscirà ad affrontare le sfide che ha di fronte, mentre il presidente delle imprese europee rappresentate da BusinessEurope, lo svedese Fredrik Persson, indica che occorre rilanciare la competitività europea, attraverso massicci investimenti in ricerca, innovazione e formazione, non solo per tener testa a Stati Uniti e Cina, ma anche per realizzare la transizione ambientale, da cui dipendono le sorti del pianeta. I 360 milioni di cittadini europei chiamati a eleggere i 720 nuovi eurodeputati (76 gli italiani) chiedono all’Unione europea di continuare a garantire loro sicurezza e benessere, al di là delle posizioni più o meno federaliste o nazionaliste dei singoli partiti, in un mondo sempre più confuso e turbolento. Sta dunque alle nuove istituzioni europee tradurre in pratica le aspirazioni e le speranze del popolo europeo, consolidando e proiettando nel futuro la comune sovranità dell’Europa, senza egoismi nazionali e impossibili nostalgie. (P.M.) “S Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2024 LE SFIDE DELLE NUOVE ISTITUZIONI COMUNITARIE La sovranità che serve ALL’EUROPA EDITORIALE

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