LE SCELTE ECONOMICHE E GEOPOLITICHE DEL NUOVO PRESIDENTE L’EUROPA ALLA SFIDA di Trump 7 a 25 a 35 miliardi: è quanto, a spanne, potrebbe costarci la presidenza di Donald Trump, che il 20 gennaio tornerà trionfalmente alla Casa Bianca con un potere assai maggiore rispetto al suo primo mandato. Oggi, infatti, controlla anche il Senato, la Camera dei Rappresentanti e la Corte Suprema, dove i giudici da lui nominati tra il 2016 e il 2020 sono in maggioranza. Con questo enorme potere, con meno vincoli e contrappesi, Trump potrà realizzare il suo programma che prevede dazi tra il 10 e il 20% sulle importazioni europee (e tra il 60 e il 200% su quelle dalla Cina) e la richiesta ai paesi europei di contribuire di più ai costi della sicurezza e della Nato, portando le loro spese per la difesa al 2-2,5%. Per noi italiani questo significherebbe dazi da 6 a 12 miliardi sui 60 miliardi di export verso gli Stati Uniti, più una quota dei dazi sui 140 miliardi di export verso gli Usa dalla Germania che utilizzano componenti italiane; e un maggior costo per la difesa tra i 10 e i 20 miliardi l’anno. Così si arriva alla stima di 25-35 miliardi. Oltre ai costi, ci saranno anche dei benefici? Questo dipende da quanto Trump riuscirà a realizzare delle sue promesse “geopolitiche”. Aveva detto che in caso di ritorno alla Casa Bianca avrebbe fatto finire la guerra russo-ucraina in 24 ore. Sembra tuttavia difficile che possa imporre un cessate il fuoco. In Medio Oriente Trump sostiene più di Biden il governo Netanyahu, che “dovrebbe finire il lavoro”: anche a costo di una guerra aperta con l’Iran, che finirebbe per coinvolgere gli Stati Uniti e sconvolgere il mercato del petrolio facendo schizzare i prezzi dell’energia e l’inflazione? Lo vedremo. Nel frattempo, le incognite economiche e geopolitiche della presidenza Trump e il ruolo sempre più ampio del gigante Cina dovrebbero spingere l’Europa ad aumentare la sua “autonomia strategica”, seguendo le indicazioni del Rapporto Draghi sulla competitività e del Rapporto Letta sul completamento del mercato unico. Ci vorrebbe, insomma, un’Europa più unita e più forte, quindi disposta ad investire massicciamente sulla propria industria, sulla propria tecnologia, sulle proprie infrastrutture, sulla propria difesa, ricorrendo anche al debito comune per aumentare il proprio bilancio, che è oggi poco più 1% del Pil europeo contro il 20% del bilancio federale americano rispetto al Pil Usa. Gli Stati europei sapranno rispondere alla sfida? O si faranno ammaliare dalla sirena trumpiana, che non ama l’Unione europea e preferisce i rapporti bilaterali con i singoli Stati, praticando il vecchio principio del “divide et impera”? In questa partita il nostro governo può giocare un ruolo importante e dovrà scegliere se impegnarsi a rafforzare l’Unione europea. Anche gli imprenditori europei e italiani possono svolgere un ruolo importante per stimolare i governi a fare le scelte giuste. Al Maga (Make American Great Again) di Trump, si può rispondere col Mega (Make Europe Great Again) oppure accettando un ruolo subalterno di vassalli divisi e litigiosi alla corte del nuovo signore della Casa Bianca. A noi la scelta. (P.M.) D Civiltà del Lavoro | settembre • ottobre 2024 EDITORIALE
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