Civiltà del Lavoro, n. 6/2024

51 FOCUS Civiltà del Lavoro | novembre • dicembre 2024 Giovani residenti nel Nord Italia Giovani expat Nord Italia Studente 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Occupato Disoccupato Tasso di disoccupazione I giovani si mettono in gioco e sono pronti a rischiare se gli si danno responsabilità e autonomia decisionale. Qual è l’aspetto più interessante che emerge dal rapporto? A mio avviso colpisce la grande differenza di atteggiamento e di visione tra i giovani expat e i giovani rimasti in Italia. Sicuramente chi se ne va ha una più elevata propensione a rischiare e quindi un maggior ottimismo. Però la distanza è davvero impressionante: nove giovani expat su dieci ritengono che il futuro sia frutto del suo impegno, contro sei tra i rimasti; sette su dieci che sia felice e ricco di opportunità, contro cinque e quattro rispettivamente; sei che sia migliore, contro quattro; mentre tra chi è rimasto più frequentemente il futuro è considerato pauroso, povero, senza lavoro. Insomma, si respira che chi se ne è andato si trova bene fuori dall’Italia e, soprattutto, che ha doti e valori preziosi in termini di fare e visione. In base alle caratteristiche personali (origini familiari, percorso di studi), sono stati tracciati due identikit di giovani expat. Quali sono? Le molte domande del questionario, assai ricco e articolato, hanno consentito di individuare due tipi di emigranti, che abbiamo chiamato “per necessità” e “per scelta”, per indicare soggetti mossi da motivazioni diverse e con diverse basi di partenza. Qualcuno arriccia il naso di fronte all’etichetta “per necessità”, perché ritiene che il lavoro al Nord ci sia per tutti, non comprendendo che queste persone hanno una gran voglia di riscatto sociale, che da noi è preclusa proprio perché non siamo ancora capaci di dare piena fiducia ai giovani, soprattutto a quelli che, per una ragione o per l’altra, non sono riusciti a completare le superiori e sono quindi marchiati come “fannulloni” e “incapaci”. Altrove, invece, sono messi alla prova e, se dimostrano di saper fare, hanno un lavoro con prospettive di crescita professionale. Dai vostri studi emerge che l’Italia si colloca all’ultimo posto in Europa per attrazione di giovani. Cosa si può fare per invertire questo trend? Occorre un mix di politiche aziendali e pubbliche. A guardar bene, sono proprio le imprese, e quindi gli imprenditori, ad avere il boccino in mano, perché la gran parte dei cambiamenti necessari per rendere l’Italia più attrattiva per i giovani dipendono dalla cultura di impresa e dalla governance. Il punto è che, proprio perché sono merce rara, ormai sono i giovani a selezionare le imprese, e non viceversa. GLI EXPAT SONO PIÙ OCCUPATI Fonte: Elaborazione Fondazione Nord Est su dati proprietari (% di risposte)

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