Quaderni sulla sostenibilità

Quaderni sulla Sostenibilità Incontri 110 La “malattia sociale” individuata da Flick all’interno del suo discorso – così come in uno dei suoi ultimi libri, Persona ambiente profitto. Quale futuro? – ha un volto ed un nome ben precisi. Prigionieri del presente, indiffe- renti nei confronti del passato e, soprattutto, del futu- ro, non possiamo non dirci affetti dal presentismo. In che modo reagire? Come ogni paziente malato anche la nostra società può, a buon diritto, rivendicare il proprio right to information ed interrogarsi, pertanto, sul proprio stato di salute, così da avere piena consapevolezza e poter partecipare, con altrettanto pieno convincimento, alle cure. Il diziona- rio Treccani definisce il presentismo come «dipenden- za eccessiva dal presente, visto come unica dimensione della realtà». Sostanzialmente identica la definizione offerta dal Grande Dizionario della Lingua Italiana, in cui si legge appunto «l’essere esageratamente dipendente dal presente, dalla realtà quotidiana ed effimera» – e si aggiunge anche, in appendice – «(e ha valore spregiativo)». Ma quando e come nasce questo termine? L’origine del presentismo risale a più di cento anni fa: la prima attesta- zione della parola appare infatti all’interno di un artico- lo, dall’irriverente titolo Bestemmia contro il giornalismo , pubblicato sulla rivista futurista Lacerba, nel numero del 1° marzo 1914 – nello stesso anno veniva fondata la Fe- derazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro. L’autore di tale articolo, nonché inventore, si potrebbe dire, del- la parola “presentismo”, è un triestino, Italo Tavolato, senz’altro non uno dei più noti esponenti del Futurismo italiano. Nondimeno, è particolarmente significativo che proprio in una simile corrente artistica, letteraria e politica abbia trovato la propria genesi il termine “pre- sentismo”, seppur con un’accezione leggermente diver- sa da quella odierna: allora il presentismo era accusato – paradossalmente, diremmo noi – di essere «un’eterna ed inutile ammirazione del passato», per usare le stesse parole di Marinetti nel celebre Manifesto del Futurismo . A chiusura di questa sorta di sezione etimologica – della cui tediosità mi scuso – si potrebbe perciò azzardare una conclusione, utilmente riassuntiva ma certo non trop- po rigorosa, di questo tipo: il futurismo ha partorito il presentismo, tacciandolo di passatismo. Futurismo, presentismo, passatismo. La discussione filo- sofica sul tempo occupa da secoli il dibattito degli intel- lettuali, ma chiaramente in questa sede interessa l’aspetto sociale, o politico, di questi approcci interpretativi alla realtà. La nostra società ora conosce il male da cui è af- flitta. Ora, tuttavia, deve prendere coscienza della neces- sità di una cura. L’insostenibilità del presentismo, e di un «presentismo imperante, che non tenga conto delle espe- rienze del passato né dei rischi – e, mi permetto di ag- giungere alle parole di Flick, delle opportunità – del futuro» è, io credo, auto-evidente. Allo stesso modo, appare altrettanto insostenibile un passatismo irriduci- bile: un gambero che cammina all’indietro non riesce a progettare il proprio futuro, ma al massimo può cercare di prevederlo, sulla base di ciò che è appena stato. Tut- tavia, benché cammini girato di spalle, l’uomo “passati- sta” riesce – a differenza del “presentista”, che non riesce a camminare, ma soltanto ad annaspare in un assoluto onnipresente – ad avere quantomeno una visione, ten- denzialmente prudenziale e, proprio per questo motivo, insufficiente, del futuro. Infine, non resta che valutare la sostenibilità dell’uomo “futurista”: chi avanza con i paraocchi riesce a comprendere rapidamente quale sia il risultato da raggiungere, intuendone la forma, anche se lontana. Ma troppo spesso il futurismo si limita ad in- dicare la via, o meglio, la meta, senza avere i mezzi o la forza per potervisi effettivamente avvicinare. A ben guardare, pertanto, il male della nostra società si può identificare sinteticamente in una compresenza, in- conciliabile e talvolta conflittuale, di acuto presentismo, esasperato passatismo e tronfio futurismo. Tali approcci, si è detto, risultano essenzialmente insostenibili. Presa coscienza della necessità di una cura, occorre ora però individuarne una che permetta di armonizzare in un fe- condo connubio i punti di forza delle tre impostazioni: la resilienza di chi vive l’oggi, la responsabilità di chi ha memoria dello ieri, il coraggio di chi affronta il domani.

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