A questo punto arriviamo agli anni ‘90 e di nuovo la cultura bussa al computer in quanto tale o quantomeno bussa all’economia. Sono gli anni in cui crolla il Muro, gli anni in cui Fukuyama scrive “La fine della storia”. Qui, in Occidente, avviene qualcosa di un di problematico perché, fino a quel momento, dopo la Seconda guerra mondiale, avevamo vissuto insieme un paradigma fatto di tre parti: democrazia liberale più libero mercato equivaleva a un aumento del benessere. Negli anni ‘90 Madeleine Albright, di cui ho seguito uno degli ultimi corsi, convince Clinton, da Segretario di Stato, che se è finita la storia, allora la Cina può entrare dentro la War Trade Organization e un po’ di libero mercato cambierà un po’ di regime cinese. Ahimè la professoressa Albright ci diceva che mai previsione fu più sbagliata perché la Cina si è arricchita ma non ha cambiato regime democratico e in Occidente andiamo in crisi perché la democrazia non affascina più come prima. Non è detto che bisogna essere democratici per poter star meglio. Questa cosa però viene messa in crisi con il primo decennio di questo secolo. Arriva lo smartphone, la più intima delle potenze computazionali. Facciamo dei lunghi cicli di lezioni in Luiss in cui ci soffermiamo sulla smartphone. Lo smartphone è un oggetto intimo. Agli studenti lo diciamo così: se non pensate che sia intimo, sbloccate lo smartphone e passatelo alla persona alla vostra destra. Se non lo potete fare è perché dentro c’è qualcosa di intimo. Ma quello smartphone, siamo alla fine del primo decennio di questo secolo, nel 2011 ci convince che è il nuovo alleato della democrazia. Le primavere arabe, piazza Tahrir ci dice che se mettiamo le persone nello spazio digitale, parlano e questo parlare le fa desiderare un regime democratico. Dieci anni dopo, nel 2021, ahimè, le rivolte di Capitol Hill ci fanno pensare che lo smartphone e il digitale sia il peggior nemico dei regimi democratici. Filter bubble, polarizzazioni, post verità. Cosa è successo? Nel 2012 Facebook entra in Borsa. In sei mesi le azioni perdono il 36% del valore, devono monetizzare i dati per convincere gli investitori a mantenere l’investimento in Facebook. Questo produce delle questioni particolari, ma non è questo l’oggetto di cui vorrei parlarvi. Il futuro del lavoro 120
RkJQdWJsaXNoZXIy NDY5NjA=