Perugia2016 WORKSHOP Educazione all'arte e alla cultura

Italia vi sono catene di editori – Giunti, Mondadori, Feltrinelli in primis – che sop- periscono alla mancanza di un imprenditore libraio in grado di modernizzare il Paese e offrono sempre più opere anche in digitale. Gli editori italiani appartengono a varie categorie imprenditoriali: sono editori di carta stampata, industriali che inve- stono in proprietà intellettuali (cioè in opere dell’ingegno), editori di grandi paesi europei, produttori di contenuti digitali, imprenditori della cultura. Cosa non fa lo Stato? Beh, questo è spettacolare! Siamo editori italiani per la carta stampata, ma i finanziamenti per l’editoria vanno solo ad alcuni quotidiani e non agli editori di libri. È recente il varo della “patent box” per aiutare chi investe in Europa in opere dell’ingegno, perché naturalmente si presuppone che queste por- tino sviluppo. Io spendo 12 milioni all’anno in opere dell’ingegno, ma il copyright non è incluso nella “patent box”. Rispetto ai nostri colleghi francesi, tedeschi e spagnoli abbiamo dovuto pietire cose che erano dovute dagli stati agli editori, se- condo le leggi europee. Ci è stato assegnato, mi pare, un milione, che poi è diven- tato mezzo, che però non è nelle nostre mani, ma in quelle del Ministero dei beni culturali. Laddove per i diritti di prestito delle biblioteche gli editori francesi o te- deschi si spartiscono qualcosa come 30-40 milioni per prestiti e fotocopie. Siamo produttori di contenuti digitali: gli ebook, come sapete, hanno creato anche in Italia un mercato soddisfacente. Ma, a differenza dei produttori di video e di mu- sica, non riceviamo nulla dalla “copia privata”, cioè da quella tassa che viene ag- giunta sul prezzo degli iPhone, dei tablet e di tutti i media digitali che permettono di fruire dei prodotti digitali (tra cui anche gli ebook), in compensazione delle copie private o della pirateria di piccolo cabotaggio. Siamo imprenditori della cultura, però non accediamo al “tax credit”, non abbiamo sostegni paragonabili a quelli del teatro e del cinema. Ammetto che fruiamo del- l’aliquota agevolata, ma questa è un’antica tradizione. Noi abbiamo il 4%, ma i nostri colleghi – ad esempio inglesi o americani – non hanno Iva sui libri, perché i libri sono sempre stati considerati importanti per il sapere. Inoltre, lo stato non versa i contributi che dovrebbe, ma addirittura trattiene i fondi del diritto di prestito e li investe in programmi di promozione alla lettura, concordati con noi, questo è vero. Quelli per le fotocopie, in arretrato, vanno al 3. Testimonianze di Cavalieri del Lavoro 67

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