Vaticano2015 La buona impresa

che con il superamento della crisi ci sia una nuova spinta alla diffusione del welfare aziendale, in cui il nostro Paese può ancora progredire: secondo le stime dell’Ocse, le prestazioni “non obbligatorie” erogate dalle imprese ai dipendenti raggiungono il 14% della spesa sociale complessiva in Gran Bretagna, il 7% in Germania, Francia e Svezia e solo il 2,1% nel nostro Paese. Questo dato dipende ovviamente anche dalla struttura produttiva italiana, fondata su piccole imprese che possono avere maggiore difficoltà a organizzare servizi di welfare. Ma anche qui qualcosa si sta muovendo: a Varese è nata per esempio Giunca, la prima rete d’imprese per organizzare collettivamente i servizi per i dipendenti. Molto dipende anche dalla legislazione, che in Italia favorisce fiscalmente questi benefit solo in modo assai marginale: solo da poco, per esempio, sono stati defiscalizzati i buoni pasto, passati da 5,29 a 7 euro, per un totale di 2,7 miliardi di euro. Ma perché le imprese dovrebbero puntare sul welfare aziendale? Per l’Osservatorio “Se- condo Welfare” (nato dalla collaborazione tra il Centro Einaudi e l’Università di Mi- lano) le motivazioni sono diverse: in ordine d’importanza, attrarre i talenti, aumentare la produttività e il legame con i dipendenti, allinearsi alle migliori prassi di mercato. Nelle aziende maggiori si stanno sperimentando formule molto innovative, che tendono a sostenere il reddito dei lavoratori con buoni acquisto e buoni libri di scuola per i figli, ma anche a rendere sempre più flessibile l’impegno di lavoro, arrivando persino a forme di “job sharing” familiare, la possibilità cioè per il coniuge o per i figli adulti di sostituire il dipendente sul posto di lavoro per un periodo di tempo. Altre aziende pensano anche al benessere psicologico dei propri dipendenti e hanno organizzato team di psicologi a disposizione dei lavoratori. Da ultimo, il welfare aziendale potrebbe in prospettiva essere un fattore importante anche per la revisione dello stato sociale, so- prattutto in tempi di spending review. Si calcola, per esempio, che circa cinque milioni di italiani godano di servizi sanitari integrativi di tipo contrattuale o aziendale. E questa potrebbe essere una formula che, opportunamente estesa, potrebbe consentire di integrare i servizi erogati del Servizio sanitario nazionale, ottimizzando spesa pubblica e spesa privata. 2. Ambiente e welfare, due dimensioni dell’impresa sostenibile 45

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