Crede davvero nell’auto elettrica? «Dobbiamo crederci, anche se ci auguriamo che lo stop alla vendita di veicoli termici sia spostato, magari dal 2035 al 2040. Queste sono le regole del gioco e non ci sono alternative». Per Renault è una opportunità o un problema? «Siamo stati pionieri dell’auto elettrica fin dal 2011, quindi la consideriamo una opportunità, anche se movimenti così repentini sono difficili da gestire». Quanto pesa il rischio aumento della disoccupazione? «Si parla, soltanto in Francia, di 50-75 mila posti di lavoro in meno ma, se riusciamo a girare le filiere sulle nuove catene del valore, grazie anche alle nuove tecnologie, vedo la possibilità di creare contemporaneamente 400-500 mila posti di lavoro». Luca de Meo, 55 anni, ceo del Gruppo Renault, nominato recentemente cavaliere del lavoro dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, riconoscimento di cui va molto fiero, è uno dei manager più dinamici dell’industria automobilistica. Punto di partenza la scelta dell’allora capo della Fiat, Sergio Marchionne che, quando de Meo aveva solo 37 anni, lo ha promosso da responsabile del marchio Lancia a capo del marketing per l’intero gruppo. «Gli devo riconoscenza perché normalmente sono posizioni che vengono prese intorno ai 5o anni, ma non mi è stato regalato nulla. Ho dovuto giocarmela. Ho imparato da lui che occorre avere fiducia nei giovani e cerco di farlo anch’io».
Non teme che il passaggio all’auto elettrica sia una occasione formidabile regalata al cinesi per conquistare la leadership definitiva e globale nel settore trainante dell’industria manifatturiera?
I cinesi, nella loro millenaria saggezza, hanno saputo posizionarsi per tempo. Si sono detti: inutile fare concorrenza nel campo tradizionale a gruppi del calibro di Bmw, Volkswagen, Ford. Meglio puntare sulla innovazione. Così oggi hanno posizioni dominanti. Non solo nella componentistica elettrica, nelle batterie. Ci si dimentica il software, decisivo nei nuovi modelli. Tra dieci anni arriverà al 40% del valore di ogni auto. E anche nel software l’industria cinese è molto forte. Direi l’intera industria asiatica, dalla Corea a Taiwan. La verità è che nell’auto, come in generale, il centro di gravità del mondo si sta spostando verso Est.
Renault come è messa?
Fino a qualche anno fa controllavamo 1125% del valore dell’auto elettrica. Poi abbiamo cominciato a crescere puntando all’obiettivo del 75%. E ora stiamo accelerando.
Quando lo raggiungerete?
Servono tre, quattro anni. In autunno saremo più precisi sui tempi. L’obiettivo zero di emissione della COz è radicale. Lo condivide? Noi contestiamo che non si tenga conto di tutte le emissioni, misurando invece soltanto quelle dal serbatoio alla ruota. Tutto il resto non viene considerato. È un errore grave. Sarebbe giusto calcolarle dalla culla alla tomba.
Qual è il prezzo ambientale che viene pagato per produrre le batterie elettriche e i singoli componenti? E quello dell’energia per ricaricarle? In futuro quale sarà l’impatto dell’idrogeno?
Non tenerne conto porta fuori strada. E mette fuori gioco le auto ad alimentazione ibrida che, al contrario, per quelle di piccola cilindrata arrivano a ridurre le emissioni di CO2 dagli scarichi fino al 75% e che potrebbero essere una soluzione interessante. Detto ciò le regole sono altre e noi ci adattiamo anche se non sono giuste, cercando di cogliere ogni opportunità.
Quali?
L’Europa ha la possibilità di creare tecnologie green, può tentarci, mentre nel digitale la partita con americani e cinesi è persa. Secondo me l’Unione europea dovrebbe farlo con maggior determinazione, lasciando perdere altre partite come quella dei semiconduttori. Lì il terreno da recuperare è davvero troppo. Missione impossibile.
Cosa ne pensa della proposta di emendamento della Germania, la cui richiesta è che dal 2035 vengano immatricolati soltanto veicoli che utilizzano combustibili climaticamente neutri?
La proposta tedesca di emendamento alla direttiva europea, appoggiata, tra gli altri, dall’Italia, conferma una volta di più che il dibattito sul futuro dell’industria automobilistica è ancora aperto. Nel Gruppo Renault abbiamo chiaramente scelto di puntare sui veicoli elettrici, con l’obiettivo di rendere la marca Renault i00% é elettrica in Europa entro il 2030 per le autovetture. E, con il nostro brand HYVIA, stiamo anche lavorando a soluzioni ad idrogeno che riteniamo importanti per alcuni segmenti specifici del mercato dei veicoli commerciali. Il nemico è la CO2, non una tecnologia o l’altra. In quanto difensori della neutralità tecnologica consideriamo, quindi, questo dibattito importante e siamo aperti a lavorare su diverse soluzioni per accompagnare la transizione ecologica. Dobbiamo gestire con attenzione questo momento, per evitare che abbia un impatto troppo forte sull’industria e sulla occupazione.
La filiera elettrica è una scommessa che le aziende europee possono vincere?
Le imprese si adattano. II problema è avere materie prime, abbassare i prezzi, creare infrastrutture adeguate. Come capi aziende ci proviamo. In particolare, per il Gruppo Renault la discontinuità è una opportunità.
Se tutto resta uguale ci sono meno possibilità di tirare fuori il coniglio dal cappello. Che conseguenze d saranno sulla occupazione?
Ce ne saranno, ma la partita è aperta. Le forniture a Renault della componentistica italiana hanno spazi significativi di aumento. Attualmente compriamo per i miliardo di euro, con l’Italia al dodicesimo posto nel ranking dei Paesi fornitori. Siamo aperti, e interessati, ad incrementare gli acquisti. È una buona opportunità per un settore, quello della componentistica auto in Italia, che con il passaggio all’elettrico vedrà colpito 1140% delle imprese, con una perdita prevista di almeno il 20-25% di occupati.
Il settore in Europa è a rischio?
Diciamo che per evitarlo occorre spingere la trasformazione, l’innovazione. Questo è il compito delle imprese. In Europa purtroppo le percentuali di fatturato investiti in ricerca e sviluppo sono ridotte. Francia e Spagna sono intorno al 2% del prodotto interno lordo, in Italia ancora meno. Occorre fare di più. L’industria dell’auto lavora su larga scala ed è un volano importante, che distribuisce valore. Non lo accentra, come avviene in altri casi, nelle mani di pochi speculatori.
Nella componentistica vi state organizzando per fare tutto in casa? È la scelta fatta da Tesla. Noi ci stiamo muovendo considerando anche partnership e alleanze di forniture.
Chi teme di più, cinesi a parte: Tesla, Volkswagen, Stellands?
Per definizione temo tutti I concorrenti. Parto dal principio che sono intelligenti almeno quanto noi e che lavorano almeno quanto noi. I colpi di scena non mancheranno. Del resto ne abbiamo viste tante. È la vita. Ripeto la domanda. Chi teme di più? Tutti e tre. Risposta dorotea. Può darne una più alla francese, meno diplomatica? Sono tre sfide diverse. Tesla è tutta innovazione. Volkswagen rappresenta la tradizione tecnocratica tedesca. Stellantis è l’espressione migliore di attenzione a costi e sinergie. Ma aggiungo, per farmi coraggio, che Renault con Nissan è íl terzo gruppo al mondo, in più con modelli diversi, ibridi, innovativi rispetto a Volkswagen e Stellantis.
Qual è ll vostro asso nella manica?
Essere attenti alle attese della gente. Pronti ad aprire una terza via per sorprendere gli stessi clienti.
Articolo pubblicato il 3 Luglio da Il Sole 24 Ore