Articolo pubblicato nella rivista n.1/2024 di Civiltà del Lavoro
Lo scorso anno per il nostro Paese si è superata la cifra record di 650 miliardi di euro di esportazioni. Quest’anno alcune criticità potrebbero non consolidare i buoni risultati; ci riferiamo in particolare al conflitto in Medio Oriente e alla conseguente crisi nel Mar Rosso, così come agli effetti della perdurante guerra in Ucraina. Per provare a capire come andrà il 2024 abbiamo intervistato Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in ltaly. Con lui abbiamo fatto anche un riepilogo delle misure e delle iniziative che potrebbero incoraggiare un maggior numero di imprese, specie Pmi, a intraprendere la strada dell’export.
Adolfo Urso Ministro, quali sono le prospettive del made in ltaly per il 2024?
Il 2024 sarà certamente l’anno del made in ltaly. Nel 2023 abbiamo combattuto l’inflazione, che ci siamo lasciati dietro le spalle, con un tasso tendenziale a dicembre dello o,6%, rispetto a una media europea del 2,9%, mentre Francia, Germania e Spagna oscillavano tra il 3% e il 4%. Le Pmi, che sono il tessuto del sistema produttivo italiano, avranno nuova linfa, soprattutto se la Bee ci verrà incontro come speriamo, riducendo i tassi di interesse bancari. Ma sono ottimista. Inoltre, in un contesto economico e geopolitico in rapida evoluzione come quello attuale, caratterizzato da grande incertezza, il governo ha inserito nella manovra il taglio del cuneo fiscale, aiuti e meno tasse per sostenere le famiglie e a rilanciare i consumi. Il quadro normativo che stiamo predisponendo è orientato a supportare le nostre imprese, definendo strategie e prospettive di sviluppo necessarie a consentire al sistema Paese di affrontare e vincere le sfide del futuro legate alla duplice transizione green e digitale, e a valorizzare ancora di più quel patrimonio di competenze e operatività che caratterizza il made in ltaly nel mondo.
Quanto incidono sul nostro commercio estero il conflitto in Medio Oriente, con le minacce alle navi nel Mar Rosso, la guerra in Ucraina con le sanzioni alla Russia, e le restrizioni di transito attraverso le Alpi?
I timori legati alla sicurezza hanno dato luogo a un’ondata di nuovi interventi restrittivi per il commercio, non solo italiano ma internazionale, e hanno reso l’ambiente economico più instabile, influenzando negativamente le decisioni di investimento delle imprese. In molte hanno registrato problemi legati all’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, come è accaduto quando è scoppiata la guerra tra Russia e Ucraina, con un saldo negativo per molte imprese tra import ed export. La crisi in Medio Oriente, invece, sta mettendo in discussione alcune rotte commerciali in mare, costringendo diversi imprenditori a riconsiderare i loro piani. L’Italia è un grande paese trasformatore, ma utilizza materie prime spesso importate da altri continenti per realizzare, attraverso il lavoro e la tecnologia, un prodotto finale ammirato ed esportato fuori dai confini nazionali. Le recenti guerre hanno dimostrato chiaramente che l’Europa deve diventare autosufficiente e svincolarsi dalla dipendenza dei combustibili fossili russi e delle materie prime critiche e dalla tecnologia cinese, sviluppando un’autonomia strategica e guardando non più a Oriente, ma al Mediterraneo e all’Africa, come abbiamo evidenziato durante il vertice Italia-Africa, con modello win-win: un ruolo che le permetterebbe di fare da ponte tra i paesi africani e l’Europa.
Quali sono le aree del mondo e i settori economici in cui le nostre esportazioni potranno crescere ancora?
L’export è il motore dell’economia italiana e tra gennaio e giugno 2023 è cresciuto del 4,1% rispetto allo stesso periodo del 2022 e nel 2024 potrebbe fare anche meglio. Sicuramente le nostre imprese continueranno a esportare verso Germania, Stati Uniti, Francia e Cina, che sono le maggiori aree di riferimento per le vendite italiane, anche se molti imprenditori guardano con interesse crescente ai paesi del Golfo, India, Thailandia, Vietnam, Messico, Brasile e Croazia, che presentano opportunità concrete per le aziende italiane. In questi mesi è cresciuta anche la domanda di beni italiani verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi.
Noi siamo la fabbrica del bello e del lusso e continueremo a esportare soprattutto quei prodotti del made in ltaly per i quali l’Italia è così famosa all’estero. Ma il nostro Paese è anche tra i leader mondiali nell’esportazione delle macchine per l’industria di ogni genere, per la meccanica e i beni strumentali, per la produzione di apparecchi elettrici, medicinali, mobili, autoveicoli, prodotti e articoli di abbigliamento, cuoio e pelle. Di rilievo, anche la quota relativa alle esportazioni di mezzi di trasporto, navi e imbarcazioni, prodotti alimentari, bevande e tabacco, articoli farmaceutici, chimicomedicali e botanici.
Quali sono le azioni del suo ministero per promuovere il made in ltaly?
Il dicastero che rappresento si è fatto promotore del ddl made in ltaly, votato a fine dicembre in via definitiva. Si tratta di un provvedimento storico, che segna una svolta nella politica industriale italiana, intervenendo a 360 gradi per stimolare e proteggere la crescita delle filiere strategiche nazionali, contrastare la contraffazione e formare nuove competenze, in vista delle sfide globali che abbiamo davanti. Prevede, infatti, una serie di misure e iniziative volte a incentivare il nostro sistema imprenditoriale. L’obiettivo della legge è di dotare il nostro made in ltaly di nuove risorse, competenze e tutele.
Il provvedimento porterà diverse novità, tra cui l’istituzione di un Fondo nazionale partecipato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e aperto alla partecipazione di fondi di investimento e altri soggetti, che avrà in dotazione un miliardo e avrà l’obiettivo di stimolare la crescita e il consolidamento delle filiere strategiche nazionali, anche per quello che riguarda l’approvvigionamento delle materie prime critiche.
Inoltre, sono introdotte nuove misure settoriali a sostegno delle imprenditrici e di molte filiere, come quella del legno-arredo, del tessile, della nautica, della ceramica e dei prodotti orafi.
La legge ha dato vita poi al liceo del made in ltaly, che partirà con l’anno scolastico 2024/2025, volto a tramandare quelle abilità che danno lustro al nostro marchio nel mondo. Infine, è stata istituita la “Giornata nazionale del made in ltaly”, che verrà celebrata il 15 aprile di ogni anno.
Secondo una ricerca Unioncamere ci sarebbero almeno 45mila Pmi che non vendono all’estero e potrebbero diventare esportatrici stabili. Come convincerle?
Sicuramente portandole a conoscere meglio le opportunità e i benefici offerti dall’espansione sui mercati internazionali. Sarebbe utile far comprendere loro il valore aggiunto e il prestigio associato al marchio made in ltaly nei mercati esteri, che rappresenta un logo su cui investire, riconosciuto in tutto il mondo. Inoltre, sarebbe importante lavorare per abbattere le barriere legate all’internazionalizzazione: spesso, infatti, le Pmi sono frenate dalla mancanza di esperienza e competenze specifiche interne all’azienda in ambito export.
Il sistema Italia, tramite istituzioni come Ice, Sace ma anche le Camere di Commercio a livello territoriale, è in grado di offrire servizi di qualità per approcciare i mercati esteri: servizi di primo orientamento all’export, formazione specifica in materia, ricerca di partner stranieri, contatto con risorse esperte, gli export manager, in grado di progettare e gestire l’espansione oltre confine delle nostre Pmi.
Che cosa suggerirebbe agli imprenditori per affrontare sempre meglio la sfida dei mercati globali in questa fase di incertezze e conflitti?
In primis di afferrare le sfide e le opportunità connesse alla doppia transizione digitale ed ecologica, puntando sempre più sull’innovazione. Le imprese che investono in sostenibilità e in tecnologia sono quelle che esportano di più perché sono più competitive sui mercati internazionali. Secondo uno studio condotto da Sace, hanno una probabilità di esportare superiore di circa tre volte rispetto a quelle che investono senza modificare il proprio modello. È indubbio che la transizione energetica e digitale incideranno progressivamente sulla capacità delle aziende di presidiare i mercati esteri: l’Italia non deve farsi trovare impreparata.