«Una volta la ruota era abbastanza coperta, per nascondere il freno, che era una cosa brutta da vedere. Noi siamo riusciti a farne un oggetto bello, da mostrare, senza rinunciare alla sicurezza, che viene prima di tutto. Però chi l’avrebbe detto che un freno meritasse un’installazione in un museo», afferma emozionato Alberto Bombassei, 82 anni il 5 ottobre, l’imprenditore che ha fatto della Brembo un leader mondiale nei sistemi frenanti, mentre ci accompagna lungo il percorso della mostra, «The art of Braking» al Mudec di Milano. E un viaggio alla scoperta del freno, per celebrare i 6o anni dell’azienda bergamasca, attraverso la storia, dello stile, del design e dei materiali dei pezzi iconici. La tecnologia è la base, ma è la bellezza la motivazione con cui nel 2004 Brembo vince il suo primo Compasso d’oro, il più antico e prestigioso premio di disegno industriale, per l’impianto frenante in carbonio ceramico per vetture da strada: «Se non fosse un freno, sarebbe una scultura degna di qualunque museo d’arte moderna», si legge. D bis arriva nel 2020, per la pinza monoblocco posteriore realizzata per la Formula E. I premi sono l’apoteosi, insieme alle oltre 500 vittorie nei campionati mondiali fino a oggi, di un’arte che comincia nel 1800. La rivoluzione la porta il freno a disco, brevettato nel 1902. Eppure, passerà mezzo secolo prima che
venga montato sull’avveniristica Citroen DS.
È a questo punto che la storia del freno si intreccia con quella della Brembo, fondata nel 1961 da Emilio Bombassei, coni figli Alberto e Sergio, insieme al cognato Italo Breda, a Paladina, vicino a Bergamo. «All’inizio era un’officina meccanica. Poi abbiamo cominciato a produrre pezzi semplici, come le cerniere delle portiere, per l’Innocenti e l’Alfa Romeo» racconta Alberto Bombassei, oggi presidente emerito. E un incidente, nel 1964, a cambiare il destino dell’azienda. «Allora i freni a disco erano poco diffusi e venivano tutti importati dall’Inghilterra. Quando un camion carico di dischi per l’Alfa Romeo si ribalta, l’Alfa chiede a noi di controllare tutti i dischi, per scartare quelli rovinati. Quando li abbiamo tra le mani, capiamo che con i nostri macchinari possiamo produrre anche noi quei dischi. Quando mio padre propone all’Alfa di comprare i nostri dischi invece che importarli, l’Alfa ci mette alla prova», ricorda. Comincia la grande avventura della Brembo. «I primi dischi sono uguali ai dischi inglesi, poi cerchiamo non solo di diversificarli, ma di farli meglio. E la scelta vincente alla base dell’azienda, che ha sempre creduto nell’innovazione, nella ricerca e nello sviluppo», sottolinea.
L’altra chiave sono le corse. «Abbiamo cominciato a produrre i freni per le Auto Delta, il marchio da corsa dell’Alfa. Le corse sono state, e sono ancora, una scuola straordinaria, un laboratorio di ReS che ci aiuta a trovare le soluzioni tecniche da adattare poi alla mobilità quotidiana», spiega mentre procediamo davanti a una campana multimediale che ci fa immergere in una gara di a La Pi è il banco di prova delle grandi innovazioni: dalle pinze radiali portate in pista da Gilles Villeneuve nei primi anni `8o alla pinza con 4 pastiglie usata per primo da Ayrton Senna, fino alle pastiglie e ai dischi in carbonio sviluppati con Michael Schumacher. Vale anche per la Moto- Gp, dove Brembo debutta a metà anni ’70 progettando la prima pinza per Moto Guzzi. E per la Formula E, «un laboratorio per lo studio e la sperimentazione delle tecnologie del domani». D futuro per?) è già qui. Con Greentive, un disco progettato da Brembo più sostenibile, perché dura di più e emette molto meno polveri sottili «per il bene dell’ambiente dice Bombassei. E con Sensify, dove «l’intelligenza artificiale entra nel sistema frenante per ridurre i tempi di frenata e il segnale digitale sostituisce il liquido idraulico. Sarà una nuova rivoluzione e cambierà totalmente l’impianto frenante. Dietro ci sono io anni di ricerca e tanti brevetti, arriverà sul mercato nel 2024», afferma Bombassei, senza anticipare il nome del primo partner automobilistico.
Articolo pubblicato il 17 Settembre dal Corriere della Sera