Menu

Cinque azioni per il nuovo lavoro| Civiltà del Lavoro 3/2023

14.11.2023

di Vittorio Colao

Articolo pubblicato nella rivista n.3/2023 di Civiltà del Lavoro

 

Con la pandemia abbiamo tutti imparato che si può lavorare da remoto. La videoconferenza è oggi una normale modalità di lavoro e di incontro. In parallelo si sono avviate trasformazioni organizzative con effetti positivi (molti) e rischi (pochi ma insidiosi) sulle competenze e sulle risorse umane. Quali dovranno essere le priorità per l’organizzazione del lavoro delle imprese? In ordine crescente di importanza secondo me sono le seguenti.

Digitalizzare in profondità tutti i processi: Lavorando da posti diversi sono diventate indispensabili infrastrutture e processi digitalizzati, accessibili da remoto. I dipendenti e i clienti si aspettano però la stessa agilità e rapidità dei migliori servizi commerciali usati quotidianamente. Molte aziende sono ancora lontane da questa semplicità. “Cloudificazione” di infrastrutture, automazione di procedure, misurazione rigorosa dei flussi digitali saranno indispensabili per sostenere le nuove organizzazioni. Le aziende debbono migrare rapidamente sistemi e applicazioni a cloud scalabili rapidamente e a costi variabili (cosiddetti software/platforms as a service).

Scegliere “flexible working”, non “working from home”: Smart working è un eufemismo italiano per dire “working from home”. Permettere il lavoro remoto è un valore da preservare, ma il lavoro da casa ha controindicazioni sottostimate. E non mi riferisco solo alla erosione di produttività, oggi denunciata dai più recenti studi. I veri rischi sono sul trasferimento di competenze ai più giovani, sviluppo dell’innovazione, crescita individuale e capacità relazionali, rapporto di appartenenza e cultura aziendale. Tutti inevitabilmente indeboliti dal lavoro da casa. Certamente la gestione flessibile di riunioni o incontri ha vantaggi ambientali da mantenere, così come dobbiamo continuare a permettere connessioni remote per esigenze personali. Ma non dobbiamo prospettare ai giovani un modello di “life balance” comodo che riduca o rallenti le loro opportunità di sviluppo.

Pagare meglio e accelerare le carriere dei giovani: Le imprese italiane, in media, non pagano bene i migliori neolaureati, che infatti vanno all’estero a guadagnare dal 40 all’80% in più. Così abbiamo un saldo netto laureati negativo che sta cominciando a indebolire il sistema italiano. Imprenditori che giustamente vogliono comprare sempre i più avanzati macchinari non cercano invece di assumere i migliori giovani, pensando che comunque uno vale l’altra. Occorre differenziare di più gli stipendi dei laureati migliori e offrire progressioni professionali nei primi anni post-laurea che motivino le ragazze e i ragazzi più intraprendenti. Infine, stages e contratti temporanei dovrebbero essere usati solo per esigenze di breve durata e non come posizioni di entrata a basso costo e ridotto investimento aziendale.

Abbracciare le diversità, sovrainvestire in formazione: Si dice che non si trovano neolaureati tecnici e il numero assoluto è obiettivamente basso in Italia. Nel mondo anglosassone si assumono come norma eccellenti laureati in storia nelle banche e filosofi in azienda, in quello tedesco e nordico ragazze e ragazzi europei ed extraeuropei. Risorse umane diverse – nel genere, negli studi, nell’origine etnica, religiosa e famigliare – sono più complicate da integrare ma costituiscono una straordinaria ricchezza di sensibilità e idee. Dei 38 partecipanti a un progetto di “Deep Data for Healthcare” della Stanford School of Medicine quasi metà sono donne e 25 hanno nomi di apparente origine non europea/anglosassone. Assumere risorse a elevata diversità richiede certo investimenti in formazione e molto lavoro di integrazione, ma la diversità a lungo irrobustisce le organizzazioni.

Coinvolgere e ingaggiarsi con i giovani: Aziende digitalizzate e flessibili richiederanno modelli gestionali meno formali, con più valore attribuito alla proposta/innovazione e alle competenze recenti rispetto alla gerarchia. Le migliori aziende comunicano molto internamente e coinvolgono nelle decisioni i livelli di competenza più fresca, non solo i dirigenti più senior. Organizzazioni più remotizzate hanno bisogno di una cultura di ingaggio diretto da parte dei vertici con il personale, sostenuta da più ascolto, più presa di rischio sui giovani, più co-creazione. La tecnologia aiuta con piattaforme ad hoc, ma l’impegno del top e middle management farà la differenza.

In definitiva, la vera sfida rimane quella di sempre: plasmare la cultura di organizzazioni veloci ed efficienti, in cui le persone trovino piena soddisfazione personale e realizzazione professionale a ogni livello. Utilizzare la tecnologia per ridurre costi, risparmiare tempi e spostamenti e snellire le organizzazioni è imprescindibile, ma la tecnologia sarà un vantaggio competitivo durevole solo per chi saprà rinforzare culture aziendali centrate sulla valorizzazione delle competenze, dell’innovazione e del merito, specie nelle persone più giovani.

 

Sfoglia l’articolo

Scarica la rivista completa

SCARICA L'APP