Negli spazi direzionali dell’OMR ogni dettaglio parla di automotive. Rezzato è il cuore strategico di un gruppo internazionale che occupa 3.250 persone in quindici stabilimenti dislocati in quattro continenti, dalla Cina, al Brasile, dal Marocco, agli Stati Uniti. Presidente del gruppo, che ha presentano l’ultimo fatturato di 610 milioni di euro, è l’ingegner Marco Bonometti, figura molto nota sia perla vincente intrapresa industriale sia per i ruoli associativi rivestiti in Confindustria, sia a livello locale che nazionale.
Cavaliere del Lavoro dal 2012, dà questo significato al riconoscimento ricevuto: «Il cavalierato del Lavoro secondo me è, ancora oggi, la riconoscenza più alta che può ricevere un imprenditore. Va difesa e tutelata perché rappresenta il traguardo di una vita dedicata al lavoro per la crescita e lo sviluppo della società. E non ci si può proporre. Ci sono delle regole chiare: etiche e morali che attengono all’altruismo, all’attenzione agli altri, e all’interesse generale. Per chi lo riceve, posso dire che si tratta di una soddisfazione immensa. Nel mio caso non me l’aspettavo, quando seppi della proposta ero in Cina e mi meravigliai davvero».
E alla domanda per quali particolari meriti crede d’averla ricevuta, Bonometti risponde di considerarlo un riconoscimento dell’essere stato capace di diventare imprenditore sul campo, trovandosi ventenne, per la scomparsa improvvisa di suo padre, inconsapevolmente protagonista «anche se avevo ricevuto una grossa eredità che erano i valori e le linee guida su cui muoversi durante la vita. E devo dire che quelle linee guida ancora oggi sono la mia bussola e sono la mia linea di condotta». Per il presidente dell’OMR, lo spirito fondamentale dei Cavalieri è quello di contribuire attraverso il lavoro e lo sviluppo della propria azienda a far crescere anche il territorio dove l’azienda opera: «Io ho scambiato il lavoro perla vita e la vita per lavoro – riflette quindi Bonometti -. Dico sempre che lavoro per vivere e vivo per lavorare. Però io sono un caso anomalo perché, nella mia sfortuna mi sono dovuto applicare e dedicare al lavoro per dimostrare la bontà dello scopo, che definirei nobile, di far crescere la propria realtà contribuendo a far crescere il benessere sociale».
Aggiunge di aver avuto un grande supporto da parte dei suoi operai «che mi hanno insegnato e preso per mano. E nella mia sfortuna sono stato fortunato perché ho cominciato a fare tutto da zero, quindi lavoravo, facevo l’amministrazione, le bolle, le fatture, e questo è stata una grande scuola manageriale. L’altro importante contributo l’ho ricevuto dall’Om di Brescia che mi ha adottato, grazie alle persone che vi lavoravano che mi conoscevano perché mio padre mi portava con sé. Mi hanno visto crescere, inoltre, molti facevano i cronometristi ed io ero un nuotatore di professione, oltre ad andare a scuola, rapporti che mi hanno molto aiutato. Altra fortuna è stata la presenza in azienda di mio fratello Franco, e di mia mamma che mi spingeva ad andare avanti e stringere i denti. A volte mi tirava le orecchie perché lavoravo troppo, però un piatto di minestra era sempre pronto anche se facevo tardissimo».
Ma come definisce l’impresa Marco Bonometti?
«È una comunità costituita dalle donne e dagli uomini che ci lavorano, all’interno della quale le persone riescono a confrontarsi, a mettersi in comunione fra loro e a dare il meglio di se stesse. L’impresa secondo me è un dono della provvidenza perché sono convinto che senza le imprese non ci sia futuro. Le comunità e i territori non si sviluppano, i giovani non fanno famiglia, non procreano figli e quindi è fondamentale che nell’impresa tutti abbiano ben chiari gli obiettivi da raggiungere». «Dico sempre che l’impresa è fatta di spirito, di anima e di cuore – aggiunge Bonometti -: se non ci fossero questi valori, permeati dall’etica e dalla morale, l’impresa sarebbe come qualsiasi altra iniziativa. Secondo me si differenzia proprio perché, seguendo le regole del libero mercato e della concorrenza, l’impresa se ben gestita, se momento d’incontro delle competenze delle varie persone, riesce ad esprimere il meglio di se stessa». Per il Cavalier Bonometti le aziende sono grandi famiglie: da un lato con spirito di sacrificio, di passione, di abnegazione, dall’altro capaci di razionalità per perseguire l’interesse e lo sviluppo dell’azienda, anche anteponendolo agli interessi degli azionisti: «Prima di tutto va difesa l’azienda. Se difendi l’azienda, difendi di conseguenza gli azionisti». •
Articolo pubblicato l’8 Maggio da Brescia Oggi