Un mattino arrivo in ufficio a Maranello. Avevo ventitré anni. Mi eroda poco laureato in ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano. Mi avevano preso per fare le prime prove con la galleria del vento. Facevo i calcoli a mano e usando il regolo calcolatore. Sulla scrivania trovo un biglietto. Non era firmato. Ma l’inchiostro era viola: “Più ordine, prego”. Solo lui usava quel colore per la sua stilografica: Enzo Ferrai». Giampaolo Dallara è un pezzo del Novecento e, con la sua energia e la sua lucidità, rappresenta ancora, a ottantaquattro anni, una promessa di futuro. È uno degli ultimi grandi vecchi di un mondo che ha plasmato le automobili con la stessa materia di cui
sono fatti i sogni, miscelando gli impulsi verso l’avventura e i desideri della bellezza con la razionalità degli ingegneri e la cura maniacale per le cose ben fatte e ben ordinate. È il padre della Lamborghini Miura, una delle macchine più iconiche del secolo scorso. È l’ingegnere che si è fatto imprenditore e che ha cambiato il mondo delle corse, arrivando a fornire – da Varano de’ Melegari, provincia di Parma – tutte le monoposto della formula IndyCar negli Stati Uniti. Anche se si schermisce: «Ferrari, Ferrari e ancora Ferrari. Lui è inarrivabile. Senza di lui, nessuno di noi sarebbe esistito». Qui al Ristorante Castello di Varano de’ Melegari, sull’Appennino parmense, ogni cosa è declinata secondo la cifra di questa parte dell’Italia, così nascosta e così centrale. L’intimità con l’oste Stefano Numanti ha la dolcezza emiliana: «Ho portato i miei quattro nipoti in ristoranti stellati, ma alla fine loro mi dicono sempre “sì, sì buono, però la prossima settimana andiamo da Stefano”», racconta Dallara. E Stefano replica: «A Giampaolo l’ultima volta ho detto “dai, vieni con me e mio fratello a prendere le more selvatiche”, poi mi son pentito, pensavo che non reggesse i sentieri, fino alla cima della montagna, e invece a ottantaquattro anni veniva su che era un piacere».