È una piccola officina meccanica come ce ne sono tante lungo la via Emilia, dove si assemblano e si montano componenti e gruppi per le macchine automatiche e dove sono assunti a tempo indeterminato una quindicina di dipendenti, con regolare contratto e stipendio. La particolarità di FID-Fare Impresa in Dozza, è che a lavorare sono i carcerati della casa circondariale di Bologna e che la fabbrica è racchiusa dentro le mura dell’istituto di pena in via del Gomito. La Srl metalmeccanica è frutto di una iniziativa unica nel panorama nazionale che nel 2012 ha messo insieme i tre principali concorrenti mondiali insediati nella packaging valley bolognese – i gruppi Marchesini, Ima e Gd – azionisti e committenti di FID con un 30% a testa del capitale, protagonisti assieme alla Fondazione Aldini Valeriani (l’altro 10% delle quote, Fav si occupa della formazione tecnica professionale) di un progetto che ha permesso fin qui l’inserimento in pianta stabile nelle piccole aziende della subfornitura emiliana di una cinquantina di ex detenuti, una volta scontata la condanna. «Io, Alberto (Vacchi, presidente e ad di Ima, ndr) e Isabella (Seragnoli, presidente di Gd-Coesia, ndr) siamo amici oltre che concorrenti e amiamo fare cose complesse – racconta Maurizio Marchesini, numero uno dell’omonimo gruppo di Pianoro e presidente di FID – e attivare un’azienda in carcere è davvero una cosa complicata. Ma è bastata una telefonata per metterci d’accordo e dare forma alla scintilla accesa da Italo Minguzzi».