La fiscalità di vantaggio per le aziende che operano al Sud è solo il primo, importante tassello di un Piano più complessivo che deve puntare al rilancio degli investimenti e della competitività del Mezzogiorno, fondamentale per rimettere in moto tutto il Paese». Parola di Antonio D’Amato, ex presidente di Confindustria, che con «Il Mattino» analizza gli scenari socio-economici per il Mezzogiorno ed il Paese nella fase Post Covid». «Per ricostruire l’Italia e riequilibrare il rapporto tra debito pubblico e Pil – continua – bisogna riavviare la capacità di crescita del Sud. Basta dare uno sguardo ai dati sull’occupazione per non avere dubbi: al Sud il tasso di occupazione non supera il 43% contro il 68-70% del Settentrione e una media nazionale del 58%. Queste statistiche pre-Covid testimoniano nella loro gravità il paradosso italiano: il Nord è ormai saturo e la sua capacità di crescita incrementale non può che essere marginale laddove il Mezzogiorno ha ancora un enorme potenziale di sviluppo che è indispensabile realizzare».
Presidente D’Amato, perché l’introduzione della fiscalità di vantaggio per le aziende che operano al Sud, su cui lei già 25 anni fa – prima da delegato al Mezzogiorno e poi da presidente di Confindustria – aveva insistito tanto, può essere considerata un segnale di svolta per ridurre i divari territoriali del Paese?
La defiscalizzazione non basta servono veri investimenti pubblici. Perché è il primo, importante tassello di un Piano più complessivo che deve puntare al rilancio degli investimenti e della competitività del Mezzogiorno che è fondamentale per rimettere in moto tutto il Paese. Per ricostruire l’Italia e riequilibrare il rapporto tra debito pubblico e Pil bisogna riavviare la capacità di crescita del Sud. Basta dare uno sguardo ai dati
sull’occupazione per non avere dubbi: al Sud il tasso di occupazione non supera il 43% contro i168-70% del Settentrione e una media nazionale del 58%. Queste statistiche pre-Covid testimoniano in tutta la loro gravità il paradosso italiano: il Nord è ormai saturo e la sua capacità di crescita incrementale non può che essere marginale laddove il Mezzogiorno ha ancora un enorme potenziale di sviluppo che è indispensabile realizzare non solo per garantire l’equilibrio sociale, ma anche la sostenibilità dei conti del Paese.
Tutti qui i paradossi?
No, ce n’è un altro, molto emblematico. L’Italia non solo è molto al di sotto della media europea, ma è lontana persino dal livello dei Paesi dell’Est con cui competiamo in termini di attrazione degli investimenti. Il Mezzogiorno, fino agli anni Novanta, era un’importante destinazione per gli investimenti nazionali e internazionali. Salvo significative eccezioni che hanno continuato a credere nel Sud, molte realtà produttive sono state delocalizzazione in Paesi dell’Est Europa che ancora oggi godono, al tempo stesso, di importanti incentivi per investimenti ma anche di condizioni di competitività sul piano del costo del lavoro, delle politiche fiscali sul reddito d’impresa e anche sulle stesse condizioni di insediamento industriale. Un esempio per tutti: l’industria automobilistica italiana produceva da noi fino a qualche anno fa 2,5 milioni di vetture, oggi stentiamo a raggiungere il mezzo milione.