Si stanno aprendo nuove rotte « per gli approvvigionamenti energetici e c’è in gioco la transizione ecologica. È un’occasione da non sprecare per ridare le carte al sistema industriale e pensare a nuovi modelli. Si tratta di guardare al futuro valorizzando il passato dell’industria energetica italiana». Fabrizio Di Amato è l’imprenditore della Maire Tecnimont di cui è presidente. E quel passato lo conosce bene. Il suo gruppo quotato a Piazza Affari è infatti anche il risultato dell’assemblaggio di pezzi di pregio del made in Italy dell’ingegneria, nomi storici come Tecnimont e Fiat Engineering. «L’Italia non è un Paese ricco di risorse ma ha sviluppato straordinarie competenze Ingegneristiche, le migliori al mondo. Da qui bisogna ripartire», dice l’imprenditore, laurea in Scienze politiche a La Sapienza e in Ingegneria chimica ad honorem al Politecnico di Milano. È al vertice di un gruppo dell’impiantistica e dell’engineering nella chimica e nei fertilizzanti e ora nello sviluppo di tecnologie per la transizione energetica. «Con 3 miliardi di fatturato Maire Tecnimont ha 11 40% del mercato mondiale negli impianti di polimeri —dice —, quando i nostri concorrenti non arrivano al 5%».
Il gruppo che presenterà i conti trimestrali mercoledì u. Secondo gli analisti, tutti gli indicatori sono in crescita, con una spinta attorno al 20% per i ricavi. Proprio due settimane fa Alessandro Bernin è stato nominato nuovo ceo «un manager di grande esperienza nell’industria italiana dell’energia con noi già da dieci anni, che sono certo saprà garantire continuità e nuovo sviluppo al nostro gruppo», dice Di Amato. «Abbiamo radici antiche e ora vogliamo proiettarle nel futuro per costruire impianti del terzo millennio con il “nuovo” petrolio che viene dalla valorizzazione dei rifiuti. Ottimizzare il riciclo degli scarti urbani e industriali che non si possono riciclare e produrre gas sintetico, etanolo, metanolo e idrogeno a basse emissioni. Cercando di disegnare quella politica industriale dell’energia, spesso mancata in Italia».
Il governo del premier Mario Draghi ne sta disegnando una..
«Oggi il Presidente del consiglio sta impostando una strategia di lungo periodo nell’energia e la speranza è che includa la transizione ecologica e venga poi proseguita. Io la inserirei come le:4: e costituzionale, così nessuno la potrà più smontare. Adesso stiamo pagando le non scelte del passato. Nel 2008 il nostro gruppo aveva firmato per la costruzione di due rigassificatori, uno per Enel a Porto Empedocle e l’altro per British Gas a Brindisi. Poi è cambiata la politica, il progetto si è trascinato nel tempo e sono stati cancellati i contratti, non certo per colpa dei committenti. Ora sento di nuovo parlare di Porto Empedocle. Siamo pronti a riprendere in mano il lavoro già fatto».
Da cosa si può cominciare?
«Si può ripartire dai siti industriali in dismissione, come molti impianti di raffinazione perché hanno già infrastrutture preziose. L’idea è fare prodotti uguali a quelli che vengono realizzati con gli idrocarburi. Oggi siamo già attivi, con l’impianto di Brescia, uno dei più efficienti in Europa nel riciclo di materiale plastico, con il 95% dei rifiuti recuperati. È un processo di upcycling che può sostituire il prodotto vergine. Non si usa solo per fare panchine o bidoni perla raccolta ma anche per costruire pezzi di automobili. Poi qui la sostenibilità crea occupazione, nuova, giovane e tra le maestranze che lavoravano nei vecchi impianti con grandi competenze».
Ora qual è il ruolo di un’impresa?
«Dobbiamo essere noi, che storicamente abbiamo costruito impianti per la trasformazione chimica delle risorse naturali, a trovare soluzioni innovative. È stato un biennio complicato, prima la pandemia ora la guerra in Ucraina. La discontinuità ha spinto tutti gli imprenditori, a cogliere i cambiamenti, reagire senza agitarsi, scegliere bene il campo di gioco. Noi abbiamo attivato le migliori formule nell’approccio con i clienti, lo abbiamo fatto in 5o Paesi».
Da dove nasce la svolta green?
«Per noi viene da lontano, dalle nostre competenze nella chimica che affonda le radici nell’innovazione della Montecatini, tra cui la tecnologia per produrre il polipropilene inventato al Politecnico di Milano dal Nobel Giulio Natta. Grazie a quelle basi e a quelle conoscenze abbiamo potuto appunto accelerare con NextChem, l’idea di recuperare il carbonio e l’idrogeno contenuto nei rifiuti — 6 milioni di tonnellate in Italia sono solo gli urbani indifferenziati che finiscono in discarica — utilizzando i vecchi impianti. L’Italia smaltisce gli scarti in Europa pagando fino a 25o euro a tonnellata, mentre riciclandoli in gas sostitutivo del metano potrebbe ridurre del io% il fabbisogno di gas per il settore termoelettrico. Con la nostra tecnologia si può risparmiare fino al 9o% delle emissioni di CO2. Il concetto è quello del “distretto circolare verde” dove i rifiuti diventano idrogeno, metanolo, fertilizzanti. Con la cattura e la valorizzazione della CO2 possiamo arrivare alla neutralità carbonica prima degli obiettivi europei. Grazie a questo l’Italia può realizzare quel prodotti che fin qui ha importato».
Ce la può fare un’azienda da sola o c’è la necessità di altri capitali?
«Se si vuole cambiare il paradigma ci vuole la disponibilità delle aziende private e lo Stato si deve fidare di realtà che hanno competenze. Il nostro gruppo dà lavoro a un’intera filiera che vale circa il 4o% del nostro fatturato. Nel petrolchimico costruito in Oman abbiamo portato 6o imprese italiane che così si sono qualificate per qualificarle sui mercati esteri. Noi svolgiamo lo stesso ruolo di una stazione appaltante dei lavori e possiamo sostenere un intero comparto industriale. Lo stiamo già facendo negli Stati Uniti con l’ammoniaca blu prodotta da gas naturale. Progetti di questa portata attraggono capitali anche internazionali».
A chi pensa?
«Prenda Blackrock, il più grande fondo globale e la quota importante di investimenti che sta destinando al green. Attori di questo tipo sono alla ricerca di opportunità che scarseggiano. Abbiamo calcolato che l’arrivo dei capitali privati potrebbe moltiplicare per sei i 70 miliardi destinati dal Pnrr alla transizione. Con equity pubblica, privata e debito, potremmo arrivare a oltre 400 miliardi».
E voi che cosa proponete?
«Abbiamo 12 progetti che, se realizzati, hanno un valore di 4,5 miliardi. E c’è la fila per investire con noi nelle infrastrutture green nell’ambito di una partnership pubblico-privata. Abbiamo progetti per la riconversione di siti industriali in Toscana, Liguria, Lazio e Sicilia, per citarne alcuni».
Come vi muovete sul mercato russo?
«Abbiamo sospeso le attività commerciali gestendo le code dei lavori pre-sanzioni e rimpatriando i lavoratori italiani. Un cantiere non si può fermare dall’oggi al domani. Ma intanto il mondo è cambiato. Ci sono aree ben più promettenti, come gli Usa, il Medio Oriente, l’Africa ed il Sud-Est Asiatico, che stanno imparando a utilizzare le materie prime per fare crescere la propria industria locale».
Che cosa si aspetta ora dell7talia?
«Rasta fare leggi, il decreto semplificazioni c’è, occorre solo mantenere I tempi e in alcuni casi accelerarli. Io resto positivo, con il coinvolgimento dei privati possiamo partire. Sono convinto che rivoluzioni industriali le debbano fare i leader che trainano le filiere. Nelle procedure ordinarie, i progetti devono essere sempre riadattati, perché le autorizzazioni vengono rilasciate a rilento. Alla fine, si arriva spesso all’impasse burocratico. Lavoro da 39 anni, ho avviato la mia attività imprenditoriale a 19 con tre dipendenti e vorrei restituire al mio Paese che mi ha dato opportunità. L’unico modo è salvaguardare il valore della storia ingegneristica italiana. Per questo è nata la Fondazione Evolve Maire Tecnimont».
State costruendo l’archivio storico..
«I tempi richiedono una trasformazione dell’ingegneria classica in una “ingegneria umanista”, in grado di elaborare assunzioni che includano aspetti etici, sociali e ambientali e capace di risolvere problemi sempre più complessi, collaborando con Università tecniche e umanistiche, applicando le migliori innovazioni con senso critico e facendosi ispirare dai simboli del passato come le provette di Natta per realizzare il Moplen».
Articolo pubblicato il 9 Maggio dall’ Economia