Negli ultimi trent’anni la digitalizzazione ha investito massicciamente il mondo del lavoro e delle imprese, creando nuovi mestieri e imponendo alle figure professionali più classiche un aggiornamento delle proprie competenze. È un fenomeno strutturale, che non si arresta ma che, anzi, con l’avvento dell’Intelligenza artificiale conoscerà nuove accelerazioni. Lo scorso anno l’Unione europea ha celebrato lo European Year of Skills per sostenere l’obiettivo di dotare l’80% della popolazione adulta di competenze digitali di base entro il 2030; il Digital Economy and Society Index fotografa, infatti, una situazione molto da migliorare, in quanto una persona su tre ne risulta carente e, d’altra parte, ben il 77% delle aziende del continente riferisce parecchia difficoltà nel trovare persone con capacità adeguate. Investire in formazione – per aggiornare o accrescere le proprie conoscenze in ambito digitale – è dunque prioritario e a questo argomento i Cavalieri del Lavoro hanno dedicato il terzo dei workshop prepara tori in vista del Convegno Nazionale del 14 settembre. L’incontro si è tenuto il 4 giugno e ha visto la partecipazione di Gianfranco Viesti, professore di economia applicata all’Università di Bari Aldo Moro, chiamato a offrire un inquadramento generale del tema, e dei Cavalieri del Lavoro Domenico Favuzzi, presidente e Ad di Exprivia, Ar mando de Nigris, presidente del Gruppo De Nigris, e Te resa Naldi, presidente del Royal Group Hotels & Resorts. A introdurre i lavori sono stati il presidente del Gruppo Mezzogiorno Carlo Pontecorvo, che ha offerto successivamente una sua testimonianza in qualità di presidente e Ad di Ferrarelle Società Benefit, e il presidente della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro Maurizio Sella, il quale ha ricordato il contributo che le imprese sono chiamate a dare per colmare i gap del Paese riguardo le competenze. “Il pubblico e l’Europa arrivano fino a un certo punto – ha precisato – ma oltre a questo dobbiamo essere noi imprenditori, noi Cavalieri del Lavoro, a dotarci di un sistema formativo adeguato alle nostre esigenze più complesse. Tutti, dai vertici aziendali all’intero personale in azienda, dovrebbero avere apertura alla tecnologia e al cambiamento, mantenendo, certo, necessari presidi per la stabilità dell’azienda. Ma quello che conta a mio avviso – ha affermato Sella – è il mindset, che deve essere adattato all’innovazione e alla formazione altrimenti la sola formazione non potrà portare benefici sufficienti”.
VIESTI: “Pochi laureati e tanta dispersione scolastica”
“L’investimento in istruzione e conoscenza è l’investimento più importante per la crescita economica, ma anche per il benessere complessivo delle persone, per la salute, il senso civico, la partecipazione e per la mobilità sociale”. Da questa premessa ha preso le mosse il professor Viesti, sottolineando la presenza nel Paese “di luci e ombre”. Da un lato, infatti, “l’investimento sulla scuola è al livello degli altri paesi”, dall’altro “quello per l’università è più basso – ha affermato –. Scontiamo nel confronto internazionale due criticità: una, la base del sistema, con una dispersione scolastica più ampia degli altri paesi; l’altra, la vetta del sistema, con una quota di giovani laureati ancora decisamente più bassa rispetto ai paesi con cui solitamente ci confrontiamo”.
Persistono differenze territoriali e la filiera dell’istruzione non sembra riuscire a compensare le debolezze dei contesti familiari e sociali di provenienza.
Viesti ha quindi posto alcuni elementi di riflessione, come per esempio “la preparazione e motivazione degli insegnanti” oppure “la qualità delle stesse strutture fisiche dedicate all’istruzione”. Nel nostro Paese poi “è meno presente un ciclo terziario breve che, invece, è una del le caratteristiche di fondo del sistema tedesco”. Qualcosa di simile lo offrono gli Its, ma sono “ancora molto limitati nella loro dimensione”.
Cruciale per le imprese è il problema del mismatch, ovvero la “differenza fra le qualifiche e le professioni offerte dalle imprese e quelle domandate dai lavoratori, un fenomeno inferiore a quello di altri paesi europei ma comunque serio perché ci lascia con disoccupati che vorrebbero lavorare, da un lato, e imprese con posizioni scoperte, dall’altro”. Il docente ha poi invitato i Cavalieri del Lavoro a riflettere sugli obiettivi dell’istruzione. Due le esigenze da contemperare, quella di “formazione generale, quello che si chiama ‘imparare ad imparare’”, e quella del mondo delle imprese di “una istruzione più professionalizzante”.
Viesti ha poi concluso il proprio intervento anticipando alcuni dati di una ricerca che sarà presentata al Convegno di settembre. “Negli ultimi 15 anni le imprese italiane hanno fatto un recupero straordinario in termini di formazione dei dipendenti – ha sottolineato –. Lo scarto fortissimo con le imprese spagnole, ma soprattutto con le francesi e tedesche, si è chiuso”. A questo risultato hanno certo contribuito le Academy, “una realtà della formazione sul lavoro davvero interessante”, e della quale i Cavalieri offrono ottimi esempi.
FAVUZZI: “Personalizzare, la grande promessa dell’Ia”
“Il settore della formazione è in una fase di forte trasformazione grazie, in particolare, alle tecnologie di intelligenza artificiale di tipo generativo”. Nel suo intervento il presidente Favuzzi ha sottolineato la portata di questo cambiamento e ha puntualizzato come in futuro “non serviranno soltanto super tecnici in grado di sviluppare tecnologie, ma soprattutto persone che abbiano una buona competenza digitale e che possano essere in grado di utilizzare le tecnologie di Ia per svolgere al meglio il proprio lavoro”.
Va tenuto presente, inoltre, che esiste un’ampia fetta di persone che oggi sono già nel mondo del lavoro e che hanno davanti a sé ancora alcuni decenni di attività; in virtù di questo vanno accompagnate in attività di reskilling e upskilling. Gli strumenti basati sulla Ia consentono nel campo della formazione un alto grado di personalizzazione, “sostituendo o agevolando il lavoro che oggi un professore può fare per un’aula di 20/25 ragazzi, ognuno dei quali ha delle capacità. Se supportato dagli strumenti dell’Ia – ha affermato il Cavaliere del Lavoro – può erogare quell’attività di formazione in 25 modalità diverse, tenendo conto delle specificità, del punto di partenza e delle capacità di ognuna delle persone. Questa è la promessa che l’Ia fa al mondo della formazione e rispetto alla quale sono partite tante iniziative, che coinvolgono molte startup sia a livello nazionale che a livello internazionale”. Complementare alla formazione in aula diventa quindi un altro tipo di formazione, erogata in modalità online, on demand, attraverso contenuti di diversa natura (testi o video) che possono essere esplorati in vario modo. Così facendo la formazione diventa “un’attività continua, che si sviluppa insieme all’attività lavorativa”.
Fra gli strumenti a disposizione Favuzzi ha menzionato il sistema degli assistenti virtuali, ovvero di “tutor che possono suggerire l’interpretazione dei testi”, e i sistemi di autovalutazione, “che possono fornire un feedback a chi vuole verificare il proprio grado di apprendimento”. “Il tutto – ha specificato – deve essere guidato da sistemi di tutela della privacy e della sicurezza dei dati”. Infine, fra i benefici portati dall’Ia, Favuzzi ha ricordato il fatto che “queste tecnologie di Ia possono agevolare l’equità e l’inclusione perché, sviluppando tecniche di apprendimento differenziate anche per soggetti con disabilità, possono aumentare l’inclusione sia all’interno dell’istruzione scolastica che all’interno di un’azienda”.
PONTECORVO: “L’importanza della formazione on the job”
Il presidente Pontecorvo ha dedicato il suo intervento alla descrizione puntuale delle attività di formazione condotte nella sua azienda, ricordando come nel 2023 siano state ben 9.100 le ore erogate. Il programma applicato si basa su tre pilastri: “Il primo – ha spiegato il Cavaliere del Lavoro – è quello degli obiettivi, cioè il lavoratore dice su cosa deve lavorare quest’anno; il secondo sono le competenze, ovvero come deve comportarsi per ottenere risultati più efficaci; il terzo pilastro sono i piani di sviluppo, cioè le azioni di sviluppo che possono aiutarlo a raggiungere gli obiettivi”. Al termine dell’esercizio – ha proseguito Pontecorvo – il lavoratore compie una vera e propria autovalutazione, poi confronta i risultati con il suo responsabile e, alla fine, c’è una valutazione definitiva”.
Schematizzando questa formula, il programma di formazione è articolato come segue: un 70% viene definito on the job, “cioè imparare attraverso l’esperienza quotidiana e l’assunzione di nuove proprie responsabilità”, un 20% si basa sul social learning, cioè “imparare attra verso l’affiancamento o l’esempio del proprio responsabile superiore o dei propri colleghi”, mentre il restante 10% è un formal learning, “cioè un’attività di training con partecipazione a corsi o a seminari”.
“Oltre a questo programma che noi definiamo bottom up, che parte dal basso e va verso l’alto – ha raccontato Pontecorvo – ne abbiamo un altro, che invece viene de finito top-down, cioè di sviluppo manageriale, che nasce dal fatto di doversi dare delle risposte su quali competenze bisogna che l’azienda rafforzi per sviluppare e rag giungere i propri obiettivi strategici”. “Viene quindi fatto un programma di sviluppo manageriale – ha proseguito – con la partecipazione a incontri in presenza oppure online, con una metodologia molto partecipativa che combina esposizioni teoriche a momenti di attività pratica”. Il passo successivo è costituito da una survey che l’azienda effettua con la Bologna Business School, nella quale “viene sottoposto un questionario a tutti i collaboratori con una serie di domande in cui i dipendenti esprimo no il proprio gradimento sul percorso di formazione”. Accanto a questo tipo di attività, “in azienda vengono programmati una serie di incontri formativi sul concetto della diversità, sull’equità e l’inclusione”, specificando come non siano fatti puramente cosmetici ma veri e propri corsi attraverso i quali si cerca di creare una so lida cultura aziendale.
DE NIGRIS: “Integrare il fa re con le mani e il fare con la tecnologia”
Le rivoluzioni tecnologiche non sono tutte uguali e da questa distinzione è partito l’intervento del presidente Armando de Nigris. Mentre infatti negli an ni ’50 e ’60 l’adozione di elettrodomestici come lavatrici o frigoriferi non si dimostrò particolarmente complessa – “bastava tirare una porta, un oblò, e il lavoro si compiva” – con la digitalizzazione, e l’Ia in particolare, la questione è diversa. “È una battaglia o competizione, che dir si voglia, persa in partenza, a meno che non ci sia un’adeguata istruzione e formazione” – ha commentato de Nigris, pur nella consapevolezza che i giovani che oggi frequentano le scuole medie o le superiori saranno capaci di affrontarla fra dieci anni.
La preoccupazione del Cavaliere del Lavoro è per l’oggi, dove le aziende sono popolate da diverse fasce d’età, fra le quali è prevalente quella che va dai 35 ai 45 anni. “Per almeno altri vent’anni – ha spiegato de Nigris – avremo dentro questi nativi non digitali, i quali si stanno approcciando a questo mondo solo grazie ai loro sforzi personali e a quelli che noi cerchiamo di portare nelle nostre aziende”. Un altro aspetto da non sottovalutare è la forte componente manifatturiera dell’industria italiana. “Siamo aziende manifatturiere – ha sottolineato –, produciamo con le mani beni e servizi. Questo ha fatto grande il nostro Paese: l’artigianalità, l’essere artisti, essere dei manifatturieri. Siamo il secondo Paese d’Europa perché facciamo con le mani. Dobbiamo quindi poter integrare, secondo me, a differenza degli altri paesi europei, questi due momenti: l’arte del fare con le mani con quella di fare con l’ausilio delle tecnologie”.
Il Gruppo De Nigris è al lavoro su questo obiettivo, facendo in modo che i dati prodotti dall’Ia si traducano in “istruzioni e operatività” per l’azienda. Al contempo, essendo un’azienda del settore alimentare, è attivo un Cooking Lab, che lavora alla preparazione di nuove ricette, e resta costante l’attenzione alle risorse umane e alle attività di ricerca e sviluppo “perché solamente ad destrando e motivando i nostri collaboratori si può fare ricerca e sviluppare nel futuro l’azienda”.
In generale, il Convegno di settembre secondo de Nigris accenderà un faro importante su come la digitalizzazione sta cambiando il lavoro e “aiuterà a dipanare qualche dubbio che inevitabilmente sta sorgendo”.
NALDI: “Bisogna costruire il mindset giusto”
La presidente del Royal Group Hotels & Resorts Teresa Naldi ha approfondito il ruolo che la tecnologia gioca nel turismo, settore nel quale le soft skill come l’empatia e l’orientamento all’ospite rivestono in ogni caso primaria importanza. “L’avanzamento tecnologico è velocissimo – ha affermato Naldi – e questo crea un invecchiamento precoce delle competenze, soprattutto quelle digitali”. Per l’imprenditrice, tuttavia, la sfida principale è costruire il mindset giusto, la mentalità, per affrontare il cambiamento. “Nel nostro caso specifico – ha raccontato – abbiamo consta tato che l’inserimento di supporti tecnologici viene percepito, da un lato, come una perdita di posti di lavoro – e specialmente con l’Ia tutti si sono fatti idee molto vicine a questo pensiero – mentre dall’altro lato le persone non riescono a comprenderne il vantaggio”.
Spesso non è neanche una questione di età perché “le risorse junior che entrano da noi non sono assolutamente preparate sulla digitalizzazione e quindi bisogna partire sempre dalle basi”. “La discriminante – spiega ancora Naldi – è la voglia della persona di apprendere e accrescere le proprie competenze” e porta l’esempio degli investimenti fatti per migliorare la qualità del soggiorno attraverso il controllo remoto degli impianti nelle stanze: “Se i manutentori o gli operativi in genere non sanno utilizzare questi strumenti – ha commentato il Cavaliere del Lavoro – è chiaro che l’investimento viene vanificato completamente”. Per questo motivo l’azienda si è mossa offrendo una formazione personalizzata, “non a pioggia”, estesa sia ai livelli professionali più bassi che alle persone over 50, il target più vulnerabile.
Considerando anche l’elevato turn over tipico del settore “cerchiamo di favorire l’ingresso di manager con spiccate soft skill”, ma viene promossa al tempo stesso “la collaborazione e l’interscambio con i capiservizio storici”. Per Naldi quindi “la formazione è continua perché l’innovazione è continua” e l’evoluzione della questione di penderà anche “dai privati, che devono sopperire alla carenza pubblica della mancata preparazione”. Fra gli esempi concreti del proprio impegno sul territorio, la presidente Naldi ha citato infine il contributo offerto alla istituzione di un corso di laurea triennale presso l’Università Federico II di Napoli ispirato alle esperienze di successo delle più rinomate scuole alberghiere svizzere.