Intervista a Gabriele Buia, Presidente Ance
Presidente Buia, nella manifestazione delle imprese del 3 dicembre a Torino si è chiesto al governo di rimettere in moto le infrastrutture per riattivare la crescita. Perché le opere pubbliche sono così importanti per lo sviluppo del Paese?
Le infrastrutture sono indispensabili per la crescita, lo sviluppo e il benessere sociale. Dotare l’Italia di opere moderne ed efficienti è, infatti, la condizione essenziale per garantire la sicurezza dei cittadini e favorire la ripresa economica. Se oggi siamo agli ultimi posti del G7 e della Ue in termini di sviluppo infrastrutturale è proprio perché non realizziamo le opere necessarie e rimettiamo sempre in discussione quello che è stato già deciso: negli ultimi
8 anni abbiamo cambiato ben 5 volte la nostra programmazione delle opere prioritarie. Un primato che non ci porta da nessuna parte.
Quante sono le opere pubbliche bloccate che si potrebbero riattivare con relativa facilità e perché non avviene?
Grazie alle segnalazioni su sbloccacantieri.it ne abbiamo individuate finora quasi 400, per un valore di oltre 27 miliardi. Ma si tratta solo della punta dell’iceberg. Grandi infrastrutture
stradali, ma anche opere idriche, scuole e interventi di messa in sicurezza. C’è urgente bisogno di un grande piano di manutenzione e, allo stesso tempo, è assolutamente necessario portare a compimento la realizzazione delle infrastrutture già iniziate. Occorre, dunque, una drastica semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa. Il Paese è afflitto da un’inerzia che colpisce qualunque tipo di iniziativa. È indispensabile spazzare via quelle incrostazioni che impediscono alle amministrazioni di spendere le risorse stanziate e aprire i cantieri. Adempimenti inutili e processi decisionali infiniti che gli addetti ai lavori definiscono tempi di attraversamento ma che sarebbe meglio chiamare tempi morti. Per questo servono regole semplici, certe e facilmente applicabili. Solo così potremo davvero sbloccare il Paese e non perdere ancora una volta il treno della crescita.
Il ministro Toninelli dice che il governo deve fare le analisi costi-benefici per evitare di realizzare opere inutili. Ma quali sarebbero le opere inutili?
È lecito che la politica faccia le proprie scelte di programmazione e le valutazioni sull’impatto delle opere. Ma rimettere in discussione con continui ripensamenti lavori già approvati e in corso di realizzazione rischia di dilatare ulteriormente i tempi, già biblici, degli interventi. È questo il vero dramma per il Paese. E invece bisognerebbe ricordare che l’effetto moltiplicatore degli investimenti in costruzioni, sia quelli grandi che quelli piccoli, è il più elevato
di tutti i settori economici: un miliardo di euro investito in edilizia genera, infatti, una ricaduta complessiva sull’intero sistema economico di oltre tre miliardi ed è in grado di creare 15 mila posti di lavoro.
Si dice che un ostacolo alla realizzazione delle infrastrutture sia il Codice degli appalti. Come si dovrebbe riformare?
L’Ance è stata la prima a denunciare da subito, nel silenzio generale, quanto il Codice degli appalti contribuisse a ingessare ancora di più il settore dei lavori pubblici, come del resto testimoniano le deroghe alle norme che più volte il Parlamento ha approvato per accelerare i cantieri in vista di grandi eventi come il G7 di Taormina, le Universiadi o i Mondiali di sci. Occorre quindi predisporre un articolato più snello, con un regolamento attuativo dedicato
ai lavori pubblici e dotato di forza cogente, in cui far confluire le linee guida Anac. Ma per velocizzare l’apertura dei cantieri occorre anticipare alcune misure, da inserire in un decreto legge ponte, che affrontino le questioni più urgenti come ad esempio i limiti del subappalto, che
non hanno uguali in Europa, e una più corretta applicazione dei criteri di aggiudicazione delle gare. In questo senso le modifiche inserite all’interno del dl semplificazioni, secondo le anticipazioni circolate in questi giorni, ci preoccupano fortemente. In particolare l’estensione
del massimo ribasso fino alla soglia comunitaria è una scelta che va nella direzione opposta rispetto all’esigenza di garantire la realizzazione delle opere in qualità, con costi e tempi adeguati. Per non parlare della possibilità di esaminare l’offerta economica senza aver prima
verificato se il concorrente abbia i requisiti per eseguire l’opera. Attenzione, così rischiamo di fare un ulteriore danno al Paese.
Ci sono altri snellimenti amministrativi che possono essere utili per velocizzare le opere?
Guardiamo al modello spagnolo. A novembre 2008 la Spagna ha messo in campo un decreto con cui prevedeva di spendere in due anni 13 miliardi di euro, come fase urgente di attuazione di un più vasto piano di rilancio infrastrutturale. Nei tempi stabiliti, bruciando una serie di
inutili passaggi burocratici e grazie a una task force costruita ad hoc che ha supportato efficacemente le pubbliche amministrazioni, sono state realizzate scuole, strade, ospedali e interventi di messa in sicurezza del territorio. Oggi la Spagna marcia con un Pil del 2,8%. Diamoci questa possibilità. L’Ance ha presentato un preciso pacchetto di proposte che vanno in questa direzione e che prevedono snellimenti procedurali per l’avvio dei cantieri, eliminando
i passaggi inutili e le duplicazioni che dilatano all’infinito l’iter di realizzazione di un’opera.
Al di là delle infrastrutture maggiori, c’è anche un problema di riattivazione dell’edilizia civile e residenziale e della manutenzione delle città. Che cosa si può fare per questi comparti?
Sbloccare l’Italia significa anche investire nel futuro delle nostre città. E per farlo serve una strategia nazionale che consenta di realizzare finalmente quegli interventi di rigenerazione che in altri paesi sono da anni una realtà consolidata.
Occorre quindi, innanzitutto, stabilire che la rigenerazione urbana è di interesse pubblico e come tale deve essere trattata. E poi delineare una governance chiara, attraverso un’Agenzia nazionale cui demandare il coordinamento e il monitoraggio delle iniziative.
Le emergenze sono tante, il nostro patrimonio immobiliare versa in condizioni disastrose. Rottamare vecchi edifici, inutili e inquinanti, intervenire su aree urbane degradate o non più efficienti, deve essere, quindi, non solo possibile, ma anche conveniente, per i cittadini e per le imprese. Per questo servono misure fiscali realmente orientate all’ambiente e a uno sviluppo sostenibile. In primis quelle dirette a favorire la sostituzione edilizia e la permuta tra vecchi edifici e fabbricati con caratteristiche energetiche e strutturali completamente rinnovate.
Articolo pubblicato sul n. 6/2018 di Civiltà del Lavoro