In questo ultimo anno il Cavaliere del Lavoro Elisabetta Fabri ha vissuto sentimenti contrastanti. A marzo, inizio della pandemia, ha appeso fuori dal proprio ufficio la bandiera italiana. Simbolo del Paese al quale è profondamente attaccata; e anche di quel museo a cielo aperto che rappresenta la base essenziale per il settore alberghiero in cui Fabri opera da quarant’anni con Starhotels. Eppure, con il trascorrere dei mesi, si è spesso trovata a pensare: «Chi me lo fa fare? Perché investire, impegnarmi e rischiare se poi il turismo è importante per i nostri decisori solo a parole? Non è meglio cedere a chi ha voglia di fare shopping di made in Italy?.
«Il turismo domestico registra -31% e quello internazionale un -65%. Ad oggi il 95% dei fatturati, dei capitali investiti e dei posti di lavoro delle nostre filiere risulta a rischio — dice Fabri —. Gli alberghi sono chiusi e ci viene chiesto di pagare ugualmente la Tari, prevedono la sospensione dell’Imu e crediti d’imposta sui canoni di locazione e poi limitano tali
“aiuti di Stato” a 800mila euro, che per una grande azienda come la nostra significa non avere praticamente alcun sussidio. La pandemia ha mostrato come il turismo sia un bene prezioso per l’Italia solo a parole, perché prevale il luogo comune che prima o poi il turismo riparta. Dalle banche abbiamo ricevuto moratorie, abbiamo anticipato la cassa integrazione alle nostre risorse, messo in sicurezza gli alberghi, in smartworking chi poteva lavorare da casa e garantito tutti i presidi a chi doveva lavorare in presenza. Non solo: abbiamo stipulato polizze contro il Covid-19 e messo a disposizione a titolo gratuito una delle nostre strutture a Bergamo peri pazienti Covid.
Tuttavia, in questo contesto, non abbiamo ricevuto alcuna risposta dalle istituzioni, nonostante la mobilitazione di imprenditori e associazioni e i nostri appelli diretti: il più recente dei quali lanciato attraverso una lettera aperta al governo lo scorso 23 dicembre. Non abbiamo ancora ricevuto risposte concrete con misure strutturali indispensabili per la ripartenza del settore e quindi di tutta la filiera ad esso legata. Lo dico con molta serenità: in questo momento, la priorità delle poche risorse a disposizione è indirizzata verso i nostri dipendenti e i nostri fornitori. Le tasse verranno in un secondo momento».
Eppure avevate chiuso il 2019 con buoni risultati.
«Avevamo chiuso l’anno con grande entusiasmo, un fatturato record di 220 milioni di euro con un’occupazione altissima, siamo la prima catena italiana per ricavi, proprietaria degli immobili sia in Italia che all’estero. Poi è arrivata la pandemia, una doccia fredda. Alla quale abbiamo reagito immediatamente con diverse iniziative».
Per esempio?
«Abbiamo deciso di avvalerci non solo di artigiani locali per tutte le ristrutturazioni, ma anche di acquistare unicamente prodotti italiani. Tutto ciò che il cliente può toccare in un nostro albergo — dal materasso, ai cuscino, agli ombrelli — è prodotto in Italia. Il costo è chiaramente più elevato, ma la nostra priorità è far lavorare le aziende italiane».