Investire nella tempesta perfetta, tra Covid, guerra e recessione all’orizzonte. «In effetti ci vuole un po’ di pazzia per fare impresa in Italia…». Parola di Vito Pertosa che con la sua Mermec ha deciso di rilevare lo stabilimento Ferrosud di Matera, tra i più grandi d’Europa ma fermo da anni, con un investimento di 4o milioni.
Perché investire adesso, In un momento di incertezza?
«Un po’ per ragioni affettive, visto che negli anni `8o abbiamo iniziato a realizzare parti degli Etr 50o proprio in questo stabilimento di Matera. Allora occupava un migliaio di persone e adesso a vederlo vuoto ti si stringe il cuore: c’è solo una persona che lo apre e lo chiude ogni giorno e alle 13 fa suonare la sirena del turno, per dimostrare che è ancora in vita». Come rivitalizzerete lo stabilimento? «In primo luogo investendo per rimetterlo in condizioni operative. E poi riportando l’occupazione, partendo dalle commesse di treni che abbiamo in portafoglio». Anche la commessa per la cosiddetta Tesla dei treni? «Sì, abbiamo vinto questa prestigiosa commessa in Belgio di treni diagnostici elettrici bitensione a 200 km/h e a batterie a 120 km/h che vogliamo sviluppare in questo sito».
Quante persone assumerete?
«C’è un piano di occupazione crescente, certamente non affrontiamo questo investimento per tenere lo stabilimento vuoto: il mio è un gruppo di 2 mila persone e in 42 anni di lavoro non abbiamo mai fatto un’ora di cassa integrazione». I sindacati, però, vorrebbero quante più assunzioni nel più breve tempo possibile. Come rispondete alle loro istanze? «Stiamo discutendo con tutti gli stakeholder, a partire dalle regioni del territorio interessato, Puglia e Basilicata, alle associazioni di categoria e sindacati per provare a trovare una quadra. II mio obiettivo è ridare un po’ di speranza a queste due regioni che vedono spesso i loro giovani emigrare per lavorare. C’è stato un grande presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Zanardelli, che proprio nell’ autunno di 120 anni fa, visitando la Basilicata disse: “Piuttosto che espormi, promettere e non eseguire, vorrei eseguire il non promesso”. Un esempio anche per i governanti del nostro tempo». A proposito, cosa dovrebbe fare il nuovo governo per favorire la ripresa? Perché tutto parte da «La primissima cosa, secondo me, è non dimenticare le promesse della campagna elettorale, ossia una riforma costituzionale che dia stabilità all’esecutivo, qualunque esso sia. Cinque anni consentono di portare avanti riforme senza l’ansia di dover scontentare qualcuno. Inoltre aumenterebbe la nostra affidabilità nelle interlocuzioni con i rappresentanti dei Paesi esteri, poiché tra un summit e un altro il premier italiano è quello che cambia più spesso e ha quindi difficoltà a prendere un impegno in una fase di negoziazione. Semplicemente aumenterebbe il rating del Paese».
Il suo gruppo ha sempre Innovato: perché è così importante farlo?
«Perché la conoscenza è sempre stata la molla che ha consentito agli italiani di primeggiare nel mondo. Anche nelle istituzioni dovrebbe essere così, purtroppo però oggi conta di più la comunicazione: per entrare in una lista elettorale a volte conta più scrivere un tweet. Perché se in un azienda devi assumere un autista di un camion, prima ti assicuri che abbia la patente C e da quanti anni guida e invece per chi deve partecipare alle decisioni che incidono sul Paese, non ci sono requisiti?».
Nelle aziende, però, la conoscenza e il saper fare contano ancora.
«Per fortuna. Noi siamo presenti in 71 Paesi e posso affermare che le menti italiane sono tra le migliori al mondo. Purtroppo se ne sono accorti anche all’estero e fanno shopping delle nostre aziende e dei nostri cervelli. Tantissimi marchi italiani hanno solo il nome, mentre la proprietà è all’estero. Sono d’accordo sull’attrazione degli investimenti ma bisogna tutelare i campioni di proprietà italiana: se l’headquarter e il ceo di una società sono all’estero, è molto più facile chiudere uno stabilimento in crisi. Visto che la parola Italia sembra al centro del nuovo governo, speriamo che si traduca in atti concreti».
Articolo pubblicato il 22 ottobre dal “Corriere della Sera”