È evidente che la crisi energetica in corso è stata causata dalla miopia politica di legarsi a un’unica fonte principale e a un unico fornitore. Come sempre, però, le crisi rappresentano anche opportunità. Prima della pandemia e della guerra, le barriere per innescare la transizione ecologica erano rappresentate dai costi, dalle normative e dall’indifferenza. Stanno tutte venendo meno: i costi dell’energia rinnovabile sono in caduta libera, non c’è governo o partito che non abbia la bolletta in cima alle sue priorità e siamo tutti consapevoli che la nostra salute dipende dall’ambiente. Non bisogna però fare l’errore di reagire con una prospettiva di breve termine, perché sono il breve terminismo e il riduzionismo ad aver causato la crisi e ora rischiano di aggravarla ulteriormente. Il problema, infatti, è il modello di sviluppo estrattivo e lineare perseguito fino a oggi, che esaurisce capitale naturale tramite l’inquinamento e il consumo inefficiente di risorse. L’errore secolare è stato il dualismo tra natura e cultura (intesa come scienza, tecnologia ed economia) dimenticando che siamo il frutto della biosfera e che la nostra vi dipende esclusivamente da essa. E inevitabile, dunque, la transizione ecologica verso una società rigenerativa, basata invece sulla complementarietà tra natura e cultura.
La transizione energetica, che ci libera delle emissioni clima-alteranti, è il primo passo ed è urgentissima perché da qui a qualche decennio il cambiamento climatico diventerà irreversibile e autoalimentato. Per completare la transizione ci vogliono poi quella agri-ecologica, verso un’ agricoltura più sanaper l’uomo e per l’ ambiente, e una nuova transizione industriale, verso l’economia circolare. La transizione deriverà dalla somma di migliaia di curve di esperienza, per lo più di tecnologie ancora immature o inesistenti: vanno infatti sviluppate nuove filiere e le relative infrastrutture. Una complessità inimmaginabile, che può essere approcciata solo in modo sistemico interdisciplinare e con orizzonti di lungo termine.
Non possiamo infatti permetterci altri errori secolari. Anche le decisioni di breve termine vanno prese solo dopo averle analizzate scientificamente e, a tal fine, va sostenuta la ricerca per colmare più rapidamente possibile il gap di conoscenza. Nel breve termine l’azione più importante non può che essere l’eliminazione degli sprechi e dell’inefficienza, che rappresentano ben il 60% dell’energia consumata. Nel medio termine, l’innovazione provocherà un’accelerazione fenomenale, ma è necessario che sia agevolata da una radicale deregolamentazione e incentivazione fiscale. Nel lungo termine, le energie solari raggiungeranno il tipping point e si affermeranno come nuovi standard di energia primaria in sostituzione delle fossi’, in abbinamento all’idrogeno come carrier energetico. Sono le uniche, infatti, con una capacità praticamente infinita rispetto al fabbisogno. Quello del solare è uno sviluppo che possiamo e dobbiamo accelerare immediatamente, consci che basta coprire meno del 10% della superficie cement’ fi cata per elettrificare l’Italia e che l’agrivoltaico rappresenta un’opportunità per aumentare la total factor productivity di terre che producono anche cibo e servizi ecosistemici. Generando circa due terzi del pil, il settore privato è l’unico ad avere la massa critica per affrontare gli investimenti necessari ad accelerare la transizione ecologica. La Regenerative Society Foundation, che co-presiedo con l’economista americano Jeffrey Sachs, è nata nel 2020 proprio per promuovere la transizione delle imprese verso un nuovo modello generativo con approccio sistemico, tramite lo scambio di conoscenza, l’analisi dell’ impatto dei progetti, la condivisione di investimenti in ricerca precompetitiva e piattaforme di big data, la promozione di partnership pubblico-private.
L’ aspirazione è che tutte le attività economiche possano essere organizzate in modo da avere un impatto ambientale e sociale positivo. Il modello rigenerativo è anche un fattore rilevante di creazione di valore economico per le aziende di tutti i settori, in un contesto in cui clienti sempre più sensibili agli aspetti di sostenibilità, investitori sempre più selettivi sui criteri Esg, fughe in avanti dei concorrenti e norme sempre più stringenti possono rappresentare una minaccia all’esistenza stessa di un’impresa. Un modello di business responsabile e sostenibile, in grado di coniugare profitto e impatto positivo, permette invece di diminuire i rischi operativi, acquisire un vantaggio reputazionale, ridurre i costi e aumentare le proprie quote di mercato, contribuendo a creare valore per tutti gli stakeholder.
Articolo pubblicato il 14 ottobre da MF