Il Future of Jobs Report del World Economic Forum prevede che, entro il 2025, l’automazione e l’intelligenza artificiale sostituiranno circa 85 milioni di posti di lavoro. Una cifra impressionate, anche se è da considerare che lo stesso rapporto indica anche che l’Ia sarà responsabile della creazione di 97 milioni di nuovi posti di lavoro entro lo stesso anno. Non si tratta più di chiedersi se le nuove tecnologie, a cominciare dall’ l’Intelligenza artificiale, avranno un impatto sul mondo del lavoro, ma di comprendere come le aziende possano implementarle efficacemente per supportare, anziché rimpiazzare, i lavoratori umani. L’Ia potrà infatti aiutare le persone a lavorare in modo più rapido, efficiente e produttivo.
Detto questo, numerosi interrogativi rimangono aperti. Come evitare il rischio di polarizzazione nella domanda di lavoro tra gli impieghi ad alto livello di istruzione e maggior reddito e quelli collocati all’estremo opposto? Quale impatto può produrre lo sviluppo di nuove tecnologie in settori chiave come l’energia e i trasporti sull’andamento della transizione ecologica e sulla creazione di nuovi profili professionali? Quali azioni intraprendere per far sì che la diffusione delle nuove tecnologie includa pienamente anche le piccole e medie imprese?
Ne hanno discusso in occasione del secondo appunta mento dei workshop preparatori al Convegno Nazionale “Il Futuro del Lavoro”, tenuto lo scorso 13 maggio, Maurizio Sella, presidente della Federazione, Carlo Pontecorvo, presidente Gruppo del Mezzogiorno, i Cavalieri del Lavoro Domenico Favuzzi, presidente e amministratore delegato Exprivia, Marco Boglione, presidente BasicNet, Umberto Paolucci, già vice presidente Microsoft Europa Medio Oriente e Africa presidente UP Invest, Angelo Michele Vinci, presidente Masmec. A introdurre il tema Gianluigi Castelli, associate professor of Practice di Information Systems, Sda Bocconi School of Management. “Sono ottimista – ha sottolineato il presidente Sella – perché vedo la capacità della nostra classe produttiva e dei Cavalieri del Lavoro, che ne sono l’eccellenza, di fare gli investimenti necessari per tradurre queste innovazioni in vantaggi per le proprie imprese e per i territori. In tutte le precedenti rivoluzioni industriali, nonostante i timori spesso legittimi, le innovazioni hanno comportato un aumento della ricchezza, dei bisogni e dei consumi. La capacità di godere di questi investimenti ha sempre portato un aumento della popolazione lavorante e non a una sua diminuzione. Non vediamo nessun motivo perché ciò non avvenga nuovamente”. Dello stesso tenore le considerazioni di Carlo Pontecorvo, numero uno dei Cavalieri del Mezzogiorno. “L’impatto dell’innovazione tecnologica sul mondo del lavoro è molto significativo, a volte viene trattato in maniera discordante ma io sono ottimista e penso che sia sempre l’occasione per crescere, migliorare, reinventarsi, per trovare nuove forme di lavoro, nuove competenze, nuovi profili professionali purché tutto sia ben guidato e seguito”.
CASTELLI: “L’Ia solo punta dell’iceberg”
“È evidente che noi oggi continuiamo a ragionare ancora con un retaggio del XX secolo, partiamo da una base di percezione errata: otto ore di lavoro al giorno per cinque giorni alla settimana per 44 settimane lavorative all’anno, 7.760 ore all’anno. Grossomodo questi sono i ragionamenti di quando guardiamo il lavoro che è questa quantità di capacità intellettuale, manuale, operativa. È evidente però che già lo smart working o remote working, ha cambiato il rapporto tra vita lavorativa e vita personale per un numero crescente di persone e di lavoratori ed è altrettanto evidente che sono sempre di più i lavoratori che sono impattati da un qualche livello di automazione”.
“Ci sono sistemi informativi sempre più integrati e sofisticati che stanno incorporando progressivamente le capacità dell’Ia. Nel medio periodo – ha proseguito il professore – l’Ia generativa è la punta dell’iceberg, è la cosa che ha reso evidente quello che sta accadendo nel mondo dell’Intelligenza artificiale. La ricerca produrrà nuove capacità basate sul deep machine learning, sul machine reasoning, su tutte queste cose che sono molto più avanzate che non l’Ia generativa. E la curva esponenziale dell’impatto dell’Ia comincerà a manifestarsi”. Castelli ha sottolineato anche l’aspetto geopolitico dell’Ia. “Ormai – ha detto – la capacità di sviluppo delle tecnologie digitali è un affare di miliardi di euro o di dollari di investimento e osservate come siano solo nelle mani dei grandi gruppi privati, Google, Apple, Meta, Amazon e della Cina. Quando leggo che l’Italia sta per investire un miliardo di euro per l’intelligenza artificiale, sono molto perplesso. È evidente che alla gara per lo sviluppo delle tecnologie di base, l’Italia non è neppure iscritta. Dobbiamo investire per imparare a usarle al meglio”.
FAVUZZI: “Favorire ecosi stemi digitali”
Nel suo intervento Domenico Favuzzi ha messo subito in evidenza due dati relativi alla formazione nelle discipline Ict. “Il primo, problematico, è che il numero di laureati italiani oggi occupati nel mondo Ict è molto basso, solo l’1,4%. La notizia positiva è che il numero delle persone che si laureano ogni anno in materie Ict è cresciuto ed è intorno al 5% e il numero dei corsi di laurea su tutto il territorio italiano oggi è al 7% del totale. In qualche modo quindi ci aspettiamo che questi dati possano migliorare”.
Parlando della virtualizzazione degli ambienti di lavoro, Favuzzi ne ha messo in luce il potenziale aumento di produttività indicandone, al tempo stesso, nuove criticità connesse alla sicurezza aziendale e più in generale alle necessità di trovare nuovi equilibri lavoro-vita “sui quali siamo an cora in cerca del corretto trade-off, perché non si tratta solo di un problema quantitativo, di orario di lavoro, ma anche di tensione e di attenzione sia alla vita che al lavoro”.
In questo quadro diventa fondamentale la formazione. “Il tutto non può andare avanti se non opportunamente alimentato da una riqualificazione e formazione continua, che in gran parte sta partendo dalle nostre aziende in cui formiamo sia neolaureati e neodiplomati, ma anche ultrasessantenni, cercando di recuperare la loro esperienza, la loro capacità. La tecnologia non la si fa soltanto ma la si può utilizzare; quindi, i livelli di comprensione possono essere di vario tipo e di varie profondità”. Un ultimo punto affrontato da Favuzzi ha riguardato il ruolo degli ecosistemi innovativi. “Castelli diceva che noi non possiamo competere sul tema delle tecnologie con i colossi americani e cinese. È vero, però possiamo puntare a essere un’area di integrazione di tutte le componenti: i governi, gli enti di ricerca, le aziende, le start up, le infrastrutture tecnologiche. Se il nostro approccio a utilizzare queste tecnologie è quello di un’effettiva integrazione e di un’adattabilità di tutto il nostro sistema economico e sociale, allora la diffusione dei vantaggi, dei benefici potrà diventare un circolo virtuoso e farci guardare all’uso di queste tecnologie sempre con maggior ottimismo”.
BOGLIONE: “La mia azienda nata dalla rete”
Marco Boglione ha ricordato il legame tra rivoluzione digitale e la nascita della sua Basicnet. “Se non ci fosse stata la cosiddetta rivoluzione digitale, non ci sarebbe la nostra l’azienda. Le rivoluzioni si fanno sempre per la libertà e anche quella fu una rivoluzione più culturale che tecnologica. I primi computer portatili facevano sognare perché face va sperare nella libertà che quegli oggetti ti avrebbero dato”. Il punto di svolta è però arrivato solo con il protocollo Internet. “Sono la prova di uno che faceva magliette perché lavoravo in un’azienda tessile, innovativa finché si vuole, però analogica. In quegli anni, soprattutto all’inizio degli anni ’90, ho capito che grazie alla micro informatica, ma soprattutto alla rete, si poteva immagi nare una cosa che non sapevamo neanche bene come si chiamava e come chiamarla, ma che forse oggi ha un nome come tante cose dopo un po’ di tempo, come ce l’ha il “cloud”, ce l’ha anche il “market place”, tutte cose nate perché c’erano quelle tecnologie che ci consentivano di poter sognare di fare delle cose che prima non si potevano fare, più velocemente, con più flessibilità e con molta più affidabilità”.
Il fondatore di Basicnet ha evidenziato poi il nesso tra innovazione e potenzialità economica. Le tecnologie aprono nuove opportunità o, semplicemente, non sopravvivono. “Noi abbiamo sempre creduto che le nuove tecnologie fossero per definizione, nuove opportunità di impresa. Se non rimangono non ne parliamo più e non sono neanche nuove tecnologie, se rimangono è perché servono all’economia. Tutte le tecnologie, per definizione, se rimangono, servono a far di più o a far meglio o a far più veloce o a fare delle cose che non erano state fatte prima. Questa è la mia esperienza”. Boglione ha infine richiamato l’attenzione sulla necessità di mantenere vivo il pensiero critico in un contesto sempre più caratterizzato dall’utilizzo dell’Ia. “Sull’Intelligenza artificiale ho soltanto un retro pensiero. Sono convinto che è un’opportunità di business, ma cosa succederà al pensiero se diventerà il solo riferimento del nostro agire? Se tutti chiediamo all’Ia come si fa una cosa e continuiamo a chiederlo nel tempo, il pensiero tenderà ad essere unico. Per crescita a infinito dell’Intelligenza artificiale, vedo rischi per il pensiero critico. Non è un rischio immediato, ma il tema è importante”.
PAOLUCCI: “Verso una nuova civiltà del lavoro”
“Noi diciamo spesso che il software è come un gas che riempie tutti gli spazi vuoti. Adesso – ha affermato Umberto Paolucci – stiamo vedendo questo fenomeno di riempimento di spazi vuoti da parte dell’Intelligenza artificiale. Ne ho parlato a gennaio, quando mi è stato chiesto di scrivere un breve articolo sull’intelligenza artificiale sulla nostra rivista Civiltà del Lavoro e stavo pensando adesso che è proprio questa la sfida che abbiamo davanti: ricreare, su scenari così diversi, una nuova civiltà del lavoro. La definirei proprio in questi termini la sfida perché il lavoro cambia e ci vorranno nuove regole per una nuova coesistenza pacifica fra i protagonisti del lavoro virtuoso. Una nuova civiltà del lavoro”. “Nonostante la mia lunga esperienza nelle Ict, devo dire però che il potenziale di cambiamento, di impatto così forte, così veloce come quello che l’Intelligenza artificiale ci sta mettendo davanti, non l’ho mai visto. Il tema ora non è solamente quello di rendere l’azienda più efficiente, più produttiva, più competitiva, ma è quello di garantirle un futuro. Credo sia arrivato il momento di pensare a una struttura, magari virtuale, che faccia capo al chief executive o a un consigliere di amministrazione, che abbia l’obiettivo di guidare e capire quali sono i campi nei quali bisogna cambiare delle cose, quali sono gli ambiti, quali sono i tempi possibili, quali sono le modalità, quali processi sono cambiati, e guardare bene i possibili casi d’uso da impattare con dei cambiamenti grazie all’Intelligenza artificiale. Questo significa andare a toccare tutto, produzione, qualità, finanza, marketing, sicurezza, formazione, tutto”.
Paolucci ha poi sottolineato l’importanza di garantire sempre una dimensione etica. “L’Intelligenza artificiale deve essere disegnata mettendo al centro l’uomo. Quello che abbiamo di fronte è un tema etico. Ricordo quando ero negli anni di Microsoft, facevamo pagelle di valutazione semestrale del raggiungimento degli obbiettivi di business, che non era business in senso stretto ma era anche ed è ancora, aderenza ai valori aziendali. Mai come in un momento di così grande cambiamento, dove può non essere chiaro quello che è vero, quello che non lo è, credo che si debba sempre di più insistere su quello che serve per le nostre persone, i nostri figli, i nostri collaboratori, i nostri amici, occorre dare loro una metodologia perché possano distinguere il vero dal falso. La nuova civiltà del lavoro che dobbiamo cercare di costruire e alla quale dobbiamo tendere con le nostre forze, deve essere una civiltà nella quale l’etica ha un ruolo centrale”.
VINCI: “Collaborazioni con università essenziali”
Angelo Vinci ha illustrato le tecnologie adottate dalla propria azienda, Masmec, specializzata nella progettazione e sviluppo di soluzioni nei settori dell’automazione, dei software e del biomedicale. “Noi siamo parti ti negli anni ’80 – ha ricordato Vinci – quando si utilizzavano ancora le automazioni con relè, poi siamo passati ai computer, poi ai sistemi di Tlc e adesso siamo nell’epoca digitale, della realtà immersiva. Ora siamo in grado di sviluppare simulatori digitali che permettono di vedere ai nostri clienti una nuova linea di produzione prima ancora di costruirla. Questo è utilissimo sia a noi che ai nostri clienti perché ci si rende conto degli spazi, dei tempi di esecuzione e di eventuali anomalie”.
Le tecnologie di realtà immersiva acquistano un ruolo molto importante anche nel supporto alla manutenzione delle macchine. “Lavoriamo in tutto il mondo, quando abbiamo una linea in Cina o in Messico e il cliente ha bisogno di sapere immediatamente come risolvere un problema, noi possiamo assisterlo e verificare in tempo reale se serve fare un intervento di manutenzione”. Basta un tablet e scattare una foto alla macchina per fornire tutta la documentazione, dai manuali di istruzione fino ai disegni esecutivi e intervenire direttamente. Di particolare impatto sono state le immagini mostrate da Vinci sulle tecnologie sviluppate nel settore biomedicale. Tra esse anche delle macchine che consentono ai medici di “navigare” in modo assistito nel corpo del paziente. “Così come il navigatore ci aiuta a orientarci e ci fornisce la posizione esatta nella quale ci troviamo, così i nostri sistemi di automazione per la biologia molecolare consentono ai medici di capire esattamente dove devono intervenire. In questi casi le mappe sono costituite dalle immagini di risonanza magnetica o di Tac, vengono sovrapposti gli utensili, l’ago di una biopsia o il trapano nel caso di stabilizzazione spinale, vengono visti dalle telecamere, sovrapposte le immagini e quindi il medico è facilitato nell’individuazione del target”.
Vinci ha infine messo in evidenza l’importanza della collaborazione tra impresa e università. “Sarebbe impensabile realizzare tutto questo da soli, ecco perché abbiamo una rete di collegamenti tra le università, tra cui il Politecnico di Milano, l’Università di Bari, la Scuola Sant’Anna di Pisa, e numerosi centri di competenza. Da soli non si riesce a fare molto, mentre con una rete di collegamenti, hai la possibilità di interfacciarti e raggiungere il meglio che puoi fare”.