I Costa stanno a Genova come Genova sta ai Costa: sono un tutt’uno. In un secolo e mezzo la famiglia icona del capoluogo ligure ha costruito un impero industriale che dal commercio e produzione dell’olio si è allargato al tessile, quindi al settore immobiliare, all’armatoriale fino alla creazione di Costa Crociere, poi ceduta, nel 1997, all’americana Carnival. Proprio in quell’anno, alcuni membri della famiglia costituivano la Costa Edutainment per la gestione dell’Acquario di Genova e del Bigo, l’ascensore panoramico della città. Era il punto di partenza di una serie di acquisizioni da parte di quello che oggi è il leader nazionale nella gestione di strutture pubbliche e private dedicate ad attività ricreative, culturali, didattiche, di studio e di ricerca scientifica. È Beppe Costa l’anima, tecnicamente l’amministratore delegato, di Costa Edutainment dove edutainment allude all’intrattenimento che educa e allo stesso tempo diverte. È inoltre l’artefice, con altri soci, della nascita di Opera20 (ex Opera Laboratori Fiorentini), attiva nella gestione di musei (mostre, eventi culturali, biglietteria, prevendita, call center, accoglienza, sorveglianza, assistenza alla visita, didattica, audioguide, bookshop e merchandising) e dei servizi aggiuntivi museali (comunicazione, allestimenti museali, conservazione e restauro tessile). Nel portfolio di Opera20 ci sono siti come gli Uffizi, i Musei Vaticani, la Reggia di Caserta, il Parco archeologico di Pompei. La conversazione con Beppe Costa parte proprio da un tema caldo: le strategie di gestione del patrimonio culturale d’Italia, immenso come il mare che si scorge dall’ufficio di Costa.
Per la promozione dei nostri beni culturali s’invoca l’alleanza fra pubblico e privato. A che punto siamo?
«La Breccia di Porta Pia è stata aperta. La collaborazione è in essere, è un fatto ineluttabile. Proseguirà».
La pandemia ha aiutato?
«Sicuramente. Nelle fasi di isolamento abbiamo avuto più tempo e modo di seguire programmi dedicati all’arte e abbiamo compreso quanto possa ristorarci. Anche questo accende il desiderio di comprare il biglietto di un museo, di fare donazioni, di partecipare a collette. Perché per privato intendo sia il grande investitore sia il singolo cittadino».
Cosa fare per incentivare il sodalizio pubblico-privato?
«Lo Stato dovrebbe fidarsi di più dei privati. In tema musei trovo che si sia fatto un passo indietro rispetto alla Legge Ronchey».
In che senso?
«Per esempio si fanno gare d’appalto centrate su qualche servizio, come se fossimo imprese di pulizia, sono poche le gare che vedono un coinvolgimento importante dell’operatore. “Fate i bigliettai” è un po’ l’approccio. Se vengono fatte gare per soli servizi, un privato che stimolo può avere ad incrementare visitatori e portare innovazione?».
E invece cosa si aspetterebbe?
«Dovremmo poter ideare il prodotto da un punto di vista concettuale realizzandolo poi con il nostro personale».