L’intervista al Presidente d’onore della Federazione Nazionale Cavalieri del Lavoro
Antonio D’Amato pubblicata su Libero il 20 marzo 2023
«La politica industriale del governo in questi pochi mesi va nella direzione giusta per ridare slancio e forza a chi crede nel Paese e ha il coraggio di investire. La transizione che si sta cercando di impone in Europa è fondata su basi demagogiche e ideologiche: è negativa dal punto di vista ambientale, economicamente insostenibile, deflagrante sotto il profilo sociale e corre il rischio di portare l’Europa alla rottura». È un giudizio durissimo quello che Antonio D’Amato, presidente della Fondazione Mezzogiorno, amministratore delegato di Seda International Packaging Group e presidente di Confindustria dal 2000 al 2004, esprime nei confronti della politica climatica europea, racchiusa nel pacchetto di misure noto come Green Deal.
«È all’opera una visione dirigista con cui si mortificano le imprese, i ceti medi e le classi lavoratrici. In questo modo non solo non si fanno passi in avanti nel miglioramento dell’impatto ambientale ma si rischia di far trionfare i nazionalismi e i sovranismi. Dobbiamo saper assicurare un’autentica strategia di politica industriale al nostro Continente. Senza un sistema industriale competitivo, di alta qualità e sostenibile non possiamo garantire crescita economica, coesione sociale e quindi politica e istituzionale della nostra Europa».
Un timore che il governo sembra aver ben presente, a giudicare dalle posizioni prese ai tavoli europei. Crede che la fermezza dimostrata da Palazzo Chigi, dalla questione dell’auto elettrica alla direttiva sulle case green, fino al regolamento sul packaging, possa pagare?
«E un atteggiamento positivo perché finalmente il governo italiano sta ponendo al centro della propria azione a livello europeo la tutela e la difesa della capacità industriale e manifatturiera del nostro Paese. Nel corso degli ultimi anni, soprattutto durante questa legislatura europea, abbiamo assistito a una stagione di vera e propria deindustrializzazione e di decrescita che di felice non ha niente. Negli ultimi quindici anni abbiamo perso per iper regolamentazione interi settori produttivi: la chimica di base, la siderurgia, il tessile. Le grandi imprese globali si sono posizionate a un metro dai confini europei dove potevano fare dumping sociale, fiscale, valutario e persino ambientale perché producevano in Paesi dove c’erano standard più bassi di quelli che avevamo nella Ue. Sotto questa spinta demagogica e fortemente ideologizzata che caratterizza tutte le operazioni contenute nel Green Deal, si rischia di fare grandissimi passi indietro sulla strada del progresso e della sostenibilità ambientale. Il pianeta è una cosa troppo seria per essere affrontata con demagogia. Richiede scienza, innovazione e tanti investimenti che solo una crescita economica veramente sostenibile può mettere a disposizione».
Ritiene che il rinvio al divieto di vendita dei motori termici dal 2035, ottenuto grazie all’asse costruito con la Germania, sia un fatto positivo? E fino a che punto potra influire sulla filiera dell’automotive?
«Positivo sì. Ma devo dire un po’ tardivo perché avremmo dovuto farlo già anni fa. È assolutamente pazzesco che fino ad oggi si siano accettate passivamente delle scelte che rischiano di far perdere completamente ogni autonomia e sovranità al nostro sistema industriale. Quindi bene abbiamo fatto a pone questo tema. Male ha fatto invece la Commissione a portare avanti questo tipo di scelte così unilaterali e miopi. Se questo percorso dovesse andare avanti, il rischio sarà non solo quello di perdere il controllo della tecnologia ma anche del mercato. Perché l’outcome (il risultato, ndr) sarà quello di non avere più un mercato dell’automobile europeo ma cinese, cosa che, in parte, si sta già realizzando. Abbiamo bisogno di essere forti e consapevoli su questo punto per difendere il primato scientifico e tecnologico del nostro Continente».