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“Italia, stato di porti. Mediterraneo strategico ” Intervista a Rodolfo Giampieri di Brunella Giugliano | Civiltà del Lavoro 1/2024

24.05.2024

Articolo pubblicato nella rivista n.1/2024 di Civiltà del Lavoro

 

Tutto il mondo guarda le vicende che in­teressano il Mar Rosso con preoccupa­zione. La filiera della logistica al momen­to sta tenendo: non si registra, infatti, un forte calo di arrivi ma soprattutto i dati non denunciano un calo forte di merce trasportata. Ma un’auspicabile rapida soluzione al conflitto è di gran­de importanza per evitare forti impatti sul comparto”. Con queste parole Rodolfo Giampieri, presidente di As­soporti, commenta la crisi internazionale generata dal blocco del Canale di Suez.

Presidente, quale potrebbe essere l’impatto sull’e­conomia nazionale e internazionale e quali le possi­bili ricadute?
La portualità e la logistica moderna hanno dato prova di resilienza nel tempo e durante diverse crisi internazio­nali. Per l’Italia il passaggio attraverso Suez vale 154 mi­liardi di euro ogni anno (43 di esportazioni e 111 di im­portazioni). Ad oggi non si è azzerato il passaggio ma si stanno allungando i tempi di consegna per alcune navi. Non possiamo sottovalutare il rischio dell’aumento del prodotto allo scaffale. Una cosa è certa, domanda e of­ferta devono trovare un equilibrio. Questo è il grande problema: evitare un’impennata dei prezzi. La portuali­tà, anche grazie ad una serie di interventi del Governo, sta aumentando la sua capacità di risposta in termini di velocità e risparmio complessivo.

Oltre all’attuale crisi del Mar Rosso, il settore ha vissu­to negli ultimi anni altre criticità, a partire dalla pan­demia e dalla crisi nell’approvvigionamento di materie prime. Qual è la situazione attuale e come il sistema è riuscito a restare a galla?
l Mediterraneo è tornato al centro delle rotte e, in quest’ottica, l’Italia è strategica, sia per destino geografico che per capacità di reazione. Dobbiamo essere pron­ti ad affrontare sempre più frequenti momenti di diffi­coltà e crisi, cosa che in questi anni abbiamo imparato nostro malgrado. Ci siamo trovati di fronte ad una realtà che probabilmente era stata sottovalutata e cioè la de­localizzazione delle attività, che ha creato, nei momenti più intensi e difficili, problemi nell’approvvigionamento di alcune materie prime e semilavorati. Ciò ha portato le imprese alla rivalutazione delle scelte commerciali prece­denti, creando il fenomeno che chiamiamo near-shoring e re-shoring (preferisco dire l’accorciamento della catena logistica). Mi preme anche sottolineare che quando si parla di mare e di portualità vuol dire anche parlare di economia reale. Significa vedere i visi delle lavoratrici e dei lavoratori, degli imprenditori e delle loro intuizioni, le attrezzature, gli investimenti, le banchine … E’ un argomento che va trattato con grande rispetto e attenzione. È grazie alle persone e all’organizzazione del lavoro che il nostro sistema ha tenuto. Per questo ci tengo a sot­tolineare l’importanza del fattore umano e di quanto le persone debbano essere messe al centro dell’attenzione.

Quali sono i punti di forza dei nostri porti?
Come detto, l’organizzazione del lavoro, ovvero tutta la filiera della portualità e della logistica moderna, sono punti di forza che vanno sempre più valorizzati insieme alla capacità degli imprenditori di cogliere cambiamen­ti e opportunità. In porto si lavora con un sistema ben delineato dove tutti sanno quello che devono fare e ciò consente di affrontare anche eventi imprevedibili come quelli che abbiamo vissuti e stiamo ancora vivendo. An­che la nostra posizione strategica nel Mediterraneo è un punto di forza, cosi come la portualità diffusa. A diffe­renza del Nord Europa, infatti, dove ci sono dei cosid­detti porti – stato, in Italia abbiamo uno stato di porti. Questo dovrebbe diventare un valore aggiunto.

Porti e territori, spesso infrastrutture insufficienti. Cosa serve?
La valutazione dei risultati degli investimenti a favore del­la portualità, soprattutto grazie al Pnrr e al Fondo com­plementare, la lasciamo alle generazioni future. In questo senso lavoriamo verso un futuro sostenibile e inclusivo. Auspichiamo, infatti, unitamente ad una modernizzazione del sistema dei porti, di poter affrontare le future sfide con una semplificazione robusta, razionale e intelligen­te, necessaria per garantire l’apertura dei cantieri e realizzare le opere previste dalle diverse fonti di finanzia­mento e che, ad oggi, rimane uno dei nodi da sciogliere. Naturalmente questo non significa evitare controlli, che devono essere severi e corretti, ma non sovrapposti, al fine di creare condizioni di contesto migliori per sfrut­tare un’occasione irrepetibile. In questa direzione sono stati fatti passi importanti, ma ne servono ancora altri.

Auspica da tempo una riforma della portualità in Ita­lia. Quali interventi dovrebbe prevedere?
In questo contesto di trasformazione, anche le AdSP (Autorità di Sistema Portuale) dovranno adattarsi per garantire la competitività del sistema Italia, come sareb­be importante una visione strategica che possa supera­re i localismi. Appare chiaro che l’infrastruttura dovreb­be rimanere di natura pubblica, confermando, come è nella consuetudine, un massiccio investimento priva­to tramite le concessioni demaniali marittime. È anche importante mantenere i porti rilevanti sotto il profilo commerciale all’interno del novero delle Autorità, evi­tando concorrenze interne al Paese che creano soltan­to un indebolimento del sistema. Certamente la recen­te sentenza del Tribunale dell’Unione europea ci pone di fronte ad una modifica delle modalità di interpreta­zione di alcune nostre attività. Questo significa affron­tare la questione della futura portualità sia in termini tecnici che in termini politici. Come Assoporti, abbiamo analizzato e approfondito i contenuti e le conseguenze giuridico-economiche della sentenza, fornendo i detta­gli al ministero competente per le sue valutazioni e gli usi che riterrà.

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