Articolo pubblicato nella rivista n.6/2023 di Civiltà del Lavoro
A dettare i tempi della formazione è il ritmo del progresso tecnologico. Era vero ai tempi dell’invenzione della stampa, della prima rivoluzione industriale, della nascita dei calcolatori elettronici e delle prime tecnologie dell’informazione. Rimane vero anche e forse anche di più adesso, in piena epoca digitale. L’intelligenza artificiale e l’automazione ridefiniscono interi settori produttivi, esonerano dalla presenza dell’uomo anche lavori non più esclusivamente manuali e garantiscono aumento di efficienza e produttività.
Cosa fare per evitare la marginalizzazione di donne e uomini dal mondo del lavoro? Come garantire, anzi, un nuovo protagonismo del fattore umano?
UE, DUE IMPRESE SU TRE NON TROVANO PROFESSIONALITÀ
È qui che si gioca la sfida delle competenze e della qualificazione professionale nel lavoro. La formazione, sia a scuola sia fuori dai tradizionali percorsi didattici, deve saper andare veloce e garantire trasversalità. Questo significa che non è più tanto e solo il cosa si insegna, ma il come lo si insegna: metodo, apertura mentale, capacità di fare squadra. Da fattore accessorio, le soft skill diventano elemento principale del percorso di crescita di ciascuno. Si tratta di un aspetto centrale alle politiche di sviluppo di tutti i paesi avanzati.
Secondo un rapporto del giugno 2023 della Commissione europea, più del 75% delle imprese dell’UE incontrano difficoltà a trovare lavoratori qualificati, mentre i dati Eurostat più recenti indicano che solo il 37% dei cittadini europei segue corsi di formazione e di aggiornamento, di propria iniziativa o perché l’azienda o l’ente per cui lavora li promuove. A ciò si deve aggiungere che un lavoratore su tre non dispone delle competenze digitali di base.
Per sottolineare la necessità di una svolta l’UE ha celebrato nel 2023 l’Anno europeo delle competenze, dedicato al passaggio a una cultura della formazione continua. “Il patto dell’UE per le competenze – hanno messo in evidenza in un recente intervento sul Sole 24 Ore Nicolas Schmit e Kadri Simson, rispettivamente Commissario europeo per l’occupazione, gli affari sociali e l’integrazione e Commissario europeo per l’energia – ha avviato diversi partenariati pubblico-privato per riqualificare la forza lavoro, in particolare nei settori digitale, verde e tecnologico. Hanno aderito più di 1500 membri i quali hanno investito circa 160 milioni di euro in attività di formazione, di cui hanno già beneficiato 2 milioni di persone. I fondi dell’UE svolgono un ruolo centrale nella rivoluzione delle competenze in Europa e, complessivamente, ammontano a circa 65 miliardi di euro da investire in programmi per le competenze”.
“Dobbiamo investire molto di più nella formazione e nello sviluppo delle competenze e farlo lavorando fianco a fianco con le imprese. Nessuno meglio di loro conosce i profili professionali di cui hanno bisogno.” ha dichiarato a questo proposito la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
ITALIA, CACCIA ALLE COMPETENZE GREEN
E l’Italia? L’inchiesta sulle competenze degli adulti (Piacc) sviluppata dall’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, destinato alla valutazione delle competenze della popolazione adulta tra i 16 ed i 65 anni, mostra che solo il 24% degli adulti italiani si forma costantemente. Spesso mancano le risorse finanziarie o il tempo sia per migliorare le proprie competenze sia per apprenderne di nuove. Talvolta non si è neanche a conoscenza delle opportunità e dei vantaggi che il settore formazione mette a disposizione delle aziende e dei privati. In effetti, la consapevolezza dell’importanza della formazione per il lavoro è ancora poco a fuoco e lo squilibrio tra domanda e offerta di lavoro, il cosiddetto skill mismatch, è un tasto dolente nel mercato del talento. Lo scenario è critico, specialmente per le aziende più piccole, prive della forza per compensare lacune di competenze sempre più urgenti da colmare. Basti pensare che il mismatch aumenta in modo esponenziale quando le imprese richiedono competenze digitali o green: in Italia tra il 2023 e il 2027 saranno richieste competenze green a circa 2,4 milioni di lavoratori – il 65% del fabbisogno del quinquennio – e competenze digitali a poco più di due milioni di occupati – il 56% del totale.
Secondo Confartigianato la carenza di manodopera qualificata costa alle piccole imprese 10,2 miliardi di mancato valore aggiunto a causa dei posti di lavoro che rimangono scoperti per oltre sei mesi. Tutto questo a fronte del grande “spreco” rappresentato da 1,5 milioni di giovani tra i 25 e i 34 anni che non si offrono sul mercato del lavoro, un numero che assegna all’Italia il primato negativo nell’Unione europea per giovani inattivi. Tutto ciò ha origine anche dal gap scuola-lavoro e da un sistema formativo che fatica a formare competenze sempre più evolute.
NASCE LA FILIERA FORMATIVA TECNOLOGICA
L’allarme delle imprese ha spinto il governo a occuparsi del problema con il varo, lo scorso 18 settembre, del disegno di legge, firmato dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che istituisce la filiera formativa tecnologica.
Il progetto è ambizioso, partirà come sperimentazione dal 2024/25 e potrà coinvolgere fino a un massimo del 30% degli istituti tecnici e professionali attivi sul territorio regionale. I punti cardine della riforma sono cinque: percorsi quadriennali, rilanciando in larga scala la sperimentazione delle superiori in quattro anni, anziché cinque, partita con Valeria Fedeli ma mai realmente decollata (oggi interessa appena 2/300 scuole in tutta Italia). Rafforzamento delle materie di base, in particolare italiano e matematica. Apprendistato formativo e alternanza scuola-lavoro (potrebbe arrivare fino a 400 ore nel triennio). Docenze di esperti provenienti dal mondo produttivo e professionale per ampliare l’offerta didattica, in primis quella laboratoriale. Spinta all’internazionalizzazione con più scambi internazionali, visite e soggiorni di studio, stage all’estero.
IL MODELLO ACADEMY
Le aziende, intanto, non stanno ad aspettare. Il modello delle Academy nato un secolo fa negli Stati Uniti con General Motors e General Electric, è ormai consolidato anche in Europa e in Italia. La prima e tra le più note è la Eni corporate University, nata nel 2001 per favorire lo sviluppo del know-how tecnico e manageriale e il potenziamento della corporate identity di Eni. Sono numerose, tra le “corporate university” italiane gli esempi di realtà di Cavalieri del Lavoro. In particolare, sono più di 50 le realtà costituite come Academy, ovvero come strutture create all’interno delle aziende per soddisfare le esigenze di formazione tecnica, manageriale e organizzativa. In questo e nei prossimi numeri di Civiltà del Lavoro dedicheremo alle Academy dei Cavalieri del Lavoro uno speciale approfondimento.