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«La scuola cambi rotta ora un patto per salvarla»

21.11.2022

«Un transatlantico, quello della scuola, cui bisogna far cambiare rotta rapidamente, per rendere la navigazione degli studenti diversa dall’attuale, più in linea con il mondo che cambia, più competitiva rispetto ai percorsi formativi degli altri Paesi, Asia e Usa in particolare, che forniscono competenze, strumenti, e approfondimenti culturali più stimolanti rispetto all’Italia». Gianfelice Rocca, presidente del gruppo Techint e della Fondazione Rocca lancia un allarme rosso sulla scuola, invoca una presa di coscienza collettiva per scuotere dall’immobilismo il mondo della scuola che è fermo, ripiegato su se stesso, incapace di innovare e innovarsi come dimostra l’accurato rapporto promosso dalla Fondazione con l’associazione TreELLLE ” Scuola, i numeri da cambiare”, che aggiorna a distanza di 10 anni l’analisi di questa istituzione.

Presidente, siamo di fronte ad una scuola classista, disuguale, che non aiuta i ragazzi a realizzarsi? Bisogna puntare sul merito?

«La scuola, specialmente la media, è in crisi, bloccata da almeno 10 anni, come dimostrano i numeri illustrati. Il modo di insegnare è fermo alle lezioni frontali, spesso noiose, con pochi stimoli. Dovrebbe invece innescare la curiosità in una fascia d’età decisiva, in cui si va alla ricerca delle proprie vocazioni. Dobbiamo dare ai talenti la possibilità di esprimersi, ne abbiamo tanti in Italia ma il livello della scuola media è inferiore, secondo gli indici, a quello della media europea, e Asia e Usa ci sopravanzano. Bisogna recuperare terreno».

I nostri giovani, per lo più laureati, fuggono all’estero, l’Italia si svuota di cervelli e competenze. Siamo al declino?

«Un rischio che va scongiurato. Solo gli Its hanno tassi di efficienza in linea con l’Europa e consentono di fare da ponte tra scuola e lavoro. La crisi delle medie è quella più grave. In 20 anni non è cambiato nulla: abbiamo 40 mila edifici scolastici per lo più obsoleti, un milione di docenti, 8 milioni di studenti, metodi d’insegnamento spesso non adeguati».

I dati raccolti dalla sua Fondazione rimandano la fotografia di una scuola dove crescono le disparità, l’ascensore sociale è bloccato, è aumentato il divario tra Nord e Sud.

«È un quadro allarmante che richiede una risposta globale non solo da parte del mondo della scuola e della cultura. È un problema, anzi il problema del Paese, cui tutti, politici, imprenditori, classe dirigente, devono rispondere, questo anche il senso dell’appello di oggi»

Da imprenditore e conoscitore del problema, cosa propone?

«Serve un progetto di lungo termine dinamico per cambiare la direzione della nave, in grado di mutare, di seguire le nuove tendenze ed esigenze. Di valorizzare davvero i docenti e dirigenti che ci credono e si impegnano ogni giorno in situazioni difficili. Ne va del futuro dei giovani e del Paese, altrimenti pagheremo un prezzo molto alto in termini di conoscenza, creazione di ricchezza, lavoro»

Perché il Paese non si mobilita per la scuola?

«C’è stata una sottovalutazione a cui bisogna porre rimedio, puntando sul merito, la rapacità di interagire con i ragazzi, di modificare la formazione, dotandosi di strumenti per avanzare. Solo così si potrà andare avanti».

È un problema di risorse?

«No. La spesa è in linea o superiore alla Germania, noi abbiamo 12 studenti per insegnante, il Sud è più in ritardo rispetto al Nord. È l’organizzazione che va cambiata, rinnovando il metodo d’insegnamento, assicurando autonomia alla scuole, premiando i casi migliori, rendendoli virali, creando sistemi creativi, coinvolgendo Regioni, imprese, musei. In una road map decennale ambiziosa, che sviluppi la creatività, sia interconnessa alle reti, sia alle specificità del Paese».

Il ruolo dei presidi è decisivo?

«Gli insegnanti devono essere al centro del progetto. Il preside deve diventare un animatore culturale mentre ora ha compiti formal-burocratici».

E, da industriale, qual è la ragione del suo impegno?

«Porre al centro questa tematica e contribuire alla svolta per uscire da questa crisi culturale. Bisogna difendere l’Europa dalla polarizzazione spinta Usa-Asia che può schiacciarci, difendere l’Italia che ha enormi potenzialità, tradizione e talenti da coltivare».

La vostra analisi ha individuato in particolare un vulnus pesantissimo, quello della scuola media. Cosa si pub fare?

«Bisogna fare sistema, uno sforzo comune, dal governo alle imprese a tutti gli uomini liberi, per cambiare la rotta di otto milioni di passeggeri e dare un futuro ai giovani, alle nostre eccellenze, tagliando le diseguaglianze. Le Fondazioni presenti oggi mettono-a disposizione dati per guidare le decisioni future. E una sfida che possiamo vincere».

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Articolo pubblicato il 18 novembre da Il Messaggero

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