Articolo pubblicato nella rivista n.3/2023 di Civiltà del Lavoro
La terza tavola rotonda del convegno è stata introdotta da un’intervista a Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, condotta da Tonia Cartolano. “Abbiamo sempre sfruttato la natura immaginando di averne chissà quanta e per tanto tempo – ha affermato –. Non abbiamo mai considerato la finitezza perché abbiamo sempre pensato che l’avremmo avuta per sempre: probabilmente bisogna cambiare la visione, da egocentrica a ‘ecocentrica’. A proposito di acqua, ho sempre pensato che in fondo l’acqua è di tutti, ma quando qualcosa è di tutti rischia di essere di nessuno”.
“Finisce di essere di nessuno o del primo che la trova e se ne appropria – ha risposto Flick –. Questo è il problema. Tant’è vero che l’acqua è un concetto fondamentale per costruire nuove prospettive del diritto. È il primo bene comune, come lo definiamo noi operatori del diritto, che deve superare la logica ormai logorata e inaccettabile, tra una dimensione privatistica, l’acqua come un prodotto destinato a un mercato e che quindi più è scarso più si fa pagare, e l’acqua invece come bene comune, necessario alla vita di tutti, alla vita delle collettività e alla vita delle persone. Senza acqua non c’è vita. Occorre dunque trovare un equilibrio tra una regolamentazione che abbia una valenza sia internazionale sia convenzionale, e penso alle regole europee oltre a quelle dell’Onu, e una dimensione nazionale”.
Il presidente emerito della Corte Costituzionale ha poi citato la transizione tecnologica, “che viaggia a una velocità talmente rapida da lasciarci perplessi” e che potrebbe “condizionare e soffocare la transizione ecologica perché rischia di mettere sempre in prima posizione il profitto rispetto a quello che è il valore del bene comune, l’acqua prima di tutto”. Da qui una carrellata di esempi: “se penso alla percentuale di spreco pazzesco che c’è nella distribuzione dell’acqua – ha affermato Flick –, se penso al fatto che l’acqua comincia talvolta ad essere oggetto di interventi della criminalità organizzata, se penso che c’è una grossa differenza tra quello che è il Sud e il Nord del nostro Paese quanto alla criminalità, se penso alla criminalità ecologica e quindi l’inquinamento degli oceani, dei mari, penso alla criminalità con la monopolizzazione dell’acqua prima che arrivi alla destinazione finale”.
Flick ha poi citato il referendum del 2011: “Abbiamo vissuto un’esperienza interessante ma problematica – ha spiegato –, un referendum nel quale si è detto no alla privatizzazione dell’acqua nel senso che non è possibile guardare all’acqua come qualcosa che è diventato un prodotto. L’acqua è un bene che deve essere di tutti”.
Fra le domande poste nel corso dell’intervista, c’è stata anche una sollecitazione a guardare all’acqua anche come un bene di prossimità. Le implicazioni sotto il profilo giuridico sono diverse, in particolare la questione della “distribuzione dell’acqua, con la creazione di reti – ha spiegato Flick –, nonché la disciplina delle varie forme di utilizzazione dell’acqua: la posso usare per produrre energia elettrica, per l’agricoltura, per far bere la gente. Per fortuna, e in questo sono ottimista, abbiamo la ‘rivoluzione culturale’ della modifica dell’articolo nove della nostra Costituzione, che è sempre valida, sempre attuale ma, purtroppo, non sempre attuata”.
“Si tratta di mettere, ad esempio, gli interessi delle generazioni future al primo posto quando pensiamo ai valori ambientali, tra i quali il valore dell’acqua. Oltre agli interessi delle generazioni future, lontane nel tempo e per le quali non abbiamo ancora rappresentanti e strumenti giuridici che possono farli valere – ha proseguito il presidente –, penso anche alla lontananza nello spazio. Il problema è quello di raggiungere con l’acqua popolazioni come quelle delle zone desertiche, che muoiono di sete e fame e sono prive di questo diritto. È un diritto complesso, è un diritto delle comunità. L’oceano è la prima forma di comunità perché l’acqua è fatta per unire non per dividere, ma noi riusciamo a usarla invece come strumento bellico, ad esempio recentemente, abbattendo una diga per provocare danni e disastri di tipo anche geopolitico”.
Flick non si sottrae a una domanda che pone il tema della conciliazione fra tutela dell’acqua e sviluppo economico. Come riuscirci? “Dico sempre che transizione ecologica e transizione tecnologica devono viaggiare insieme – ha affermato nell’intervista –, altrimenti la transizione tecnologica finisce per condizionare quella ecologica, per quella famosa presunzione che ci ha indotto a ritenere che noi siamo capaci di superare tutti i problemi, quindi possiamo tranquillamente stuprare la natura, consumare le risorse e ogni ben di Dio, tanto poi le ricostruiremo, tanto poi ce ne saranno delle altre. Mi pare che cominciamo a capire che no, che potrebbero non essercene delle altre. La maggior parte dell’acqua si perde per l’inefficienza dei sistemi di distribuzione e questo è un discorso a cui va posta mano con una dimensione logica globale, anche a livello internazionale. Occorre cioè una nuova cultura ambientale, che sia una cultura anche dell’uso dell’acqua come bene fondamentale per la vita”.
“Come si sposa – ha domandato la giornalista – con la visione industriale del settore, che è quello che probabilmente servirebbe per garantirne la sostenibilità?”. “Il problema della visione industriale – ha risposto Flick – va ricondotto a una piccola ma grandissima modifica dell’articolo nove della Costituzione, di cui non c’è da aver paura ma c’è da cercare di applicarla: la libertà di iniziativa economica è fondamentale, ma può essere limitata, diceva la Costituzione fino ad adesso, dalla libertà, dignità e sicurezza umana. L’ultima modifica dell’articolo nove ha aggiunto l’interesse delle generazioni future e la biodiversità, che è fondamentale anche per la specie umana e non solo per le specie vegetali e animali. Pensiamo al serbatoio dell’Amazzonia, che è anche un serbatoio di acqua, e alla deforestazione. Se tagliamo gli alberi, abbiamo visto nel nostro piccolo in Italia, abbiamo poi la ripetizione delle frane perché il terreno non viene più consolidato. Ormai passiamo alternativamente dalla scarsità di acqua, dal timore della siccità alla sovrabbondanza di acqua che ogni tanto, perché sovrabbondante, ci affligge. In questa prospettiva, l’articolo 41 della Costituzione ci dice che la libertà di iniziativa economica trova come limite anche il sistema ambientale, l’equilibrio ambientale e la salute”.
“E dunque – ha concluso la giornalista – ci dice come si fa a ripartire per questo Paese così ricco ma anche così fragile, dove la prevenzione ce la dimentichiamo, dove siamo molto bravi nell’emergenza?” “Il problema è mettere insieme alla cultura ecologica e alla cultura tecnologica una cultura umana – ha risposto il presidente emerito della Consulta –. Ricominciare con un po’ di umiltà e un po’ meno presunzione a rimettere al centro la persona”.